Whatever it takes: cos'è successo in 10 anni | Investire.biz

Whatever it takes: cos'è successo in 10 anni

23 lug 2022 - 15:00

05 dic 2022 - 16:20

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Il 26 luglio 2012 l'allora presidente della BCE, Mario Draghi, pose le basi per la salvezza dell’euro. Da quel giorno, quali sono state le performance dei mercati?

È stata una settimana calda per i mercati finanziari quella appena passata. Tra gli appuntamenti più importanti vi è stata la riunione della BCE, dove la presidente Lagarde ha svelato i dettagli dello scudo anti-spred battezzato TPI (Transmission Protection Instrument) e in Italia le dimissioni dell’ormai ex premier Mario Draghi dopo la crisi di governo.

Gli occhi dei trader e degli investitori sono puntati su Piazza Affari e sul futuro del FTSE Mib mentre il Paese orfano dell’ex banchiere centrale si avvia verso le elezioni anticipate al 25 settembre. In questi giorni Draghi è sotto la lente degli operatori dei mercati finanziari proprio in prossimità del decimo anniversario del celebre discorso che salvò la moneta unica dal collasso.

Il 26 luglio 2012 l'allora presidente della BCE, Mario Draghi, ha infatti pronunciato il cosiddetto discorso “whatever it takes”, oggi ampiamente considerato come il punto di svolta della crisi del debito sovrano europeo.

Le parole di Draghi ebbero come effetto quello di evitare una crisi senza precedenti per la moneta unica: “Siamo pronti a fare tutto il necessario per salvare l’Euro”. “Nel rispetto del nostro mandato, la BCE è pronta a fare qualsiasi cosa per proteggere l’euro.

E credetemi, sarà abbastanza”. Il giorno di cui parliamo è quello, in cui alla Global Investment Conference di Londra, Draghi pose le basi per la salvezza dell’euro, tagliando i tassi di interesse dallo 0,25% allo 0,15%.

Poco dopo, la Banca centrale europea ha annunciato i dettagli del suo strumento Outright Monetary Transactions (OMT): acquisti illimitati dei titoli di Stato con spread eccessivi. Il discorso, insieme all'annuncio dell'OMT, è stato sufficiente per rimuovere il rischio di ridenominazione dei mercati obbligazionari sovrani.

Gli acquisti avrebbero aumentato i prezzi dei titoli di Stato e ridotto il loro rendimento. Perché la BCE acquistasse i titoli di un singolo Paese era però richiesto che quest’ultimo firmasse un accordo con il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) mirante a contenere il fabbisogno del governo con un programma concordato e controllato anche dal Fondo Monetario Internazionale.

Le OMT non è mai stato effettivamente utilizzato. 10 anni dopo, nel 2022, in un contesto di inflazione record, il rischio di frammentazione è tornato ad essere una questione centrale per la politica monetaria nell'area dell'Eurozona.

Vediamo cosa è successo sui mercati da quel giorno e quali sono state le successive mosse di politica monetaria non solo della BCE, ma anche della Federal Reserve, evidenziando inoltre le performance delle principali asset class. Ecco i dettagli.

 

10 anni dal “Whatever it takes”: quali sono state le successive mosse della BCE?

Dal celebre discorso “Whatever it takes” pronunciato nel 2012 da Mario Draghi, allora presidente della Banca centrale europea, il contesto economico-finanziario è cambiato moltissimo nel Vecchio Continente.

La crisi fiscale era esplosa nel 2010-2011, ed era stata affrontata nel modo sbagliato. I governi e le autorità nazionali avevano costretto gli istituti bancari a ritirarsi entro i confini nazionali e questo nazionalismo economico se non “bancario” aveva frammentato i mercati finanziari. C’era il rischio forte di una “rottura” dell’Eurozona.

La cosa più rilevante è stato il peso che ebbero le sole parole di Draghi. Attraverso le aspettative, l’effetto sui mercati finanziari fu immediato. In seguito la BCE dovette mantenere le sue promesse con una serie di innovazioni come il già citato OMT, i tassi negativi e gli acquisti di titoli di Stato, soprattutto a causa della forte flessione dell’inflazione.

In seguito calarono i rendimenti dei titoli di Stato e in particolare nella parte a breve della curva, quella più condizionata dall’andamento dell’interbancario. Dopo sei mesi, a gennaio 2013, lo yield medio dei bond a 10 anni dell’Eurozona aveva perso 0,78 punti percentuali. A settembre 2014, quando cominciarono a materializzarsi concrete aspettative di un QE, era calato di oltre due punti percentuali.

Il fenomeno ha interessato tutta l’area euro, ma è stato ancora più evidente per l’Italia, l'anello debole del blocco europeo a causa del suo enorme debito pubblico. La Grecia era a rischio default e un forte sentimento di euroscetticismo, che 4 anni dopo avrebbe portato alla Brexit nel Regno Unito, stava attraversano gran parte dei Paesi dell’UE.

Sui rendimenti dei BTP pesava un forte rischio di “ridenominazione”, ossia di uscita dall’euro, calcolato in circa 200 punti base. La mossa di Draghi permise un forte ridimensionamento dello spread con i Bund tedeschi, considerati a rischio zero. Nel giro di sei mesi, il differenziale calò da 530 a 280 punti circa.

L’immissione continua di liquidità ha favorito la crescita delle aziende e il rally del mercato azionario e obbligazionario e ora che Francoforte ha invertito la rotta le prospettive per i mercati europei appaiono molto incerte mentre permangono i timori per le nuove varianti di Covid-19 e la guerra in Ucraina.

Dal 2012, l’istituto centrale di Francoforte ha implementato molte politiche che hanno avuto implicazioni significative per l’economia dell’area euro, per il suo sistema bancario e per i mercati dei capitali. Queste politiche hanno reso l’area più unita, portando a un aumento del Prodotto Interno Lordo nominale del 7-8%, in parte attribuibile ai prestiti diretti agli istituti di credito per impieghi mirati, a favore delle piccole imprese. Vediamo insieme tutte le tappe dell’era Draghi alla BCE.

 

L’era Draghi alla BCE: le tappe principali

Riassumiamo ora le tappe principali dell’operato di Mario Draghi negli otto anni di presidenza alla Banca centrale europea, da novembre 2011 a ottobre 2019.

1-3 novembre 2011: la presidenza di Draghi comincia con il botto. Al suo primo Consiglio direttivo viene deciso un taglio dello 0,25% dei tassi che passano dall’1,5% all’1,25%. Il tasso sui depositi è allo 0,5%. È stata una mossa a sorpresa dopo i due rialzi dei tassi, effettuati ad aprile e luglio 2011, decisi dal precedente governatore Jean-Claude Trichet.

8 dicembre 2011: il Consiglio decide il secondo taglio dei tassi e annuncia una serie di misure non convenzionali: due LTRO a 3 anni, ovvero dei rifinanziamenti straordinari a tasso fisso dedicati agli istituti di credito per garantire accesso alla liquidità e impedire la stretta creditizia. Il tasso sui depositi è allo 0,5%.

28 febbraio 2012: la BCE taglia i tassi di interesse dall’1,25 all’1%. Il tasso sui depositi scende allo 0,25%. Al via la seconda LTRO a tre anni. Queste due operazioni consentono all’Eurotower di dare alle banche liquidità a medio termine per un totale di 1.000 miliardi di euro.

25 aprile – 29 giugno 2012: Draghi richiama il rafforzamento della vigilanza bancaria a livello europeo. A giugno il Consiglio europeo getta le basi dell’Unione Bancaria e la creazione dell’SSM, l’organo di vigilanza bancaria unica europea sotto l’ombrello dell’Eurotower.

26 luglio – 6 settembre 2012: il 26 luglio, nel pieno della crisi dei debiti sovrani, in particolare di Grecia, Irlanda e Portogallo, Draghi tiene il celebre discorso “Whatever it takes” a Londra, salvando di fatto la moneta unica. Il 2 agosto l’istituto di Francoforte annuncia l’arrivo delle OMT. Il tasso BCE passa dall’1,25% allo 0,75% mentre il tasso sui depositi arriva allo zero.

6 settembre 2012: la BCE comunica i dettagli delle OMT. L’Eurotower può acquistare sul mercato secondario titoli di Stato con scadenza da 1 a 3 anni di un Paese che chiede e ottiene aiuto a certe condizioni. L’OMT non è mai stato attivato, tuttavia ha allentato le tensioni sul debito.

4 luglio 2023: la BCE annuncia di attendersi che il costo del denaro rimarrà su livelli “attuali o più bassi” per un prolungato periodo di tempo. L’Eurotower inizia così l’uso delle indicazioni prospettiche (forward guidance), ovvero le informazioni sulle future mosse di politica monetaria dell’istituto di Francoforte. Il tasso BCE viene tagliato dello 0,25% passando dallo 0,75% allo 0,5%. I tassi sui depositi rimangono allo 0%.

23 ottobre 2013: la BCE da inizio, insieme alle autorità di vigilanza bancaria nazionali, alla valutazione approfondita degli istituti bancari. Si tratta di un controllo sullo stato di salute finanziaria di 130 banche europee. I risultati di questa indagine saranno pubblicati prima dell’assunzione del ruolo di vigilanza da parte della BCE nel novembre 2014.

25-27 maggio 2014: in Portogallo si tiene il primo ECB Forum on Central Banking, la risposta europea a “Jackson Hole”, la nota riunione dei banchieri centrali negli Stati Uniti. I tassi di interesse calano allo 0,25%, i tassi sui depositi rimangono allo 0%. In questo forum nel giugno 2019 che Draghi getterà le basi per l’arrivo di un nuovo pacchetto di misure di stimolo per una politica monetaria più accomodante.

5 giugno 2014: la BCE decide il primo taglio dei tassi in territorio negativo. Il tasso sui depositi scenderà dallo 0% toccato a luglio 2012 a -0,10% dall’11 giugno 2014. Si tratta della più controversa misura non convenzionale. Prima di Francoforte, il tasso guida è stato portato a livello negativo dalla Banca centrale di Danimarca nel 2012. Il Consiglio direttivo dell’Eurotower annuncia la prima operazione mirata di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO), uno struento non convenzionale di politica monetaria dal momento che l’ammontare di liquidità e il costo del credito ottenuti dagli istituti di credito mediante questo strumento dipendono dall’entità dei prestiti che esse forniscono all’economia reale.

4 novembre 2014: il Meccanismo di vigilanza unico (MVU) diventa operativo. La BCE assume le totali competenze di vigilanza per le oltre 100 banche dei Paesi membri partecipanti all’MVU. Il tasso BCE passa allo 0,05%, mentre il tasso sui depositi allo -0,2%.

14 gennaio 2015: la corte di giustizia UE riconosce la legittimità degli acquisti di titoli di Stato del programma OMT a condizione che abbia lo scopo della stabilità dei prezzi, che l’Eurotower mantenga l’indipendenza e che la politica fiscale resti responsabilità dei Paesi dell’UE.

22 gennaio – 1° marzo 2015: arriva il Quantitative Easing (QE), un programma ampliato di acquisto di attività al ritmo mensile totale di 60 miliardi, aggiungendo titoli di Stato e titoli pubblici ai programmi già in essere su obbligazioni garantite e cartolarizzazioni. L’istituto di Francoforte pubblicherà i verbali delle riunioni.

9 dicembre 2015: la BCE annuncia la novità del reinvestimento dei titoli che scadono e che sono stati acquistati con il Programma di acquisto di attività. Questa è un ulteriore misura di politica monetaria accomodante. Il “QE 1” terminerà il 31 dicembre 2018 con un ammontare totale di acquisti pari a 2.650 miliardi di euro. Il tasso BCE rimane allo 0,05%, mentre il tasso sui depositi passa da -0,2% a -0,3%.

2 giugno 2016: la BCE taglia ulteriormente il costo del denaro, il tasso BCE passa allo 0% mentre il tasso sui depositi a -0,4%. Il Consiglio direttivo qualche giorno più tardi, l’8 giugno, va in soccorso delle aziende dando il via al CSPP, il programma di acquisto di bond societari.

12 settembre 2019: ultima mossa di Draghi alla BCE. Il tasso sui depositi viene ridotto a 0,5%, parte un nuovo programma di acquisto di attività a ritmo mensile di 20 miliardi di euro, introduzione di un sistema a due livelli per la remunerazione delle riserve in eccesso detenute dalle banche.

 

Covid-19: le misure della BCE per fronteggiare la crisi economica

Dopo la presidenza Draghi, l’Unione Europea ha affrontato dapprima le tensioni per la Brexit, ma soprattutto nel 2020 la pandemia di Covid-19, emergenza sanitaria che ha richiesto un intervento straordinario da parte della Banca centrale europea per garantire la stabilità dei mercati finanziari.

L’Eurotower ha placato i timori degli operatori con il lancio di un nuovo programma, il Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP), un “bazooka” da 750 miliardi di euro. Con la nuova arma della BCE, l’Eurotower guidato da Christine Lagarde ha abbattuto ogni limite precedente agli acquisti di emissioni e di bond governativi dei Paesi aderenti all’euro e decidendo di avere mano libera per intervenire nei tempi e nella misura giudicata necessaria.

Il PEPP è stato accompagnato dal precedente programma da 120 miliardi e dal rinnovo dei 2.800 miliardi di euro di titoli già acquistati durante le precedenti iniziative portate avanti durante il mandato dell’ex Presidente Mario Draghi.

La BCE può quindi comprare titoli pubblici e privati con una durata compresa tra 70 giorni e 30 anni, inclusi i titoli greci e i commercial paper, di fatto un pagherò cambiario, strumenti finanziari a breve termine che tengono in vita molte piccole e medie aziende, le maggiori vittime del lockdown.

Con il PEPP l’Eurotower non dovrà più rispettare il limite del 33% per i titoli di Stato e del 50% per le emissioni sovrannazionali. Sono acquistabili anche le emissioni del BEI, la Banca europea degli investimenti, e del MES, il Meccanismo europeo di stabilità.

Parallelamente, la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, di fronte al Parlamento Europeo ha presentato il Next Generation EU: 500 miliardi da reperire sul mercato attraverso l'emissione di obbligazioni europee, garantite dagli Stati membri dell'UE e rimborsate a scadenza ultra decennale (dal 2028 al 2058).

Al fondo perduto si aggiungono altri 250 miliardi di prestiti. Non è tutto, il Quadro finanziario pluriennale 2021-27 è stato incrementato a 1.100 miliardi, il che significa che con i 540 miliardi che comprendono il piano SURE, gli stanziamenti della BEI e il MES si arriverebbe a un totale complessivo di quasi di 2.400 miliardi.

Ad oggi, secondo una recente analisi di S&P Global Ratings il sistema bancario ha subito profondi cambiamenti, tra cui una riduzione del mercato interbancario e un calo della redditività per molti istituti, mentre i mercati finanziari hanno registrato una crescita sostanziale, che ha stimolato la ricerca di rendimenti.

Secondo l’istituto, il progressivo ritiro degli strumenti di policy implementati negli ultimi dieci anni potrebbe rivelarsi limitato, dati i numerosi cambiamenti strutturali verificatisi, o potrebbe comportare costi elevati per gli operatori di mercato, che saranno tenuti ad adeguarsi.

La risposta alle tante difficoltà di questo momento per i mercati finanziari sta tutta nella gestione a dir poco difficoltosa di questo switch dello scenario di politica monetaria europea rapido e drastico in risposta ai continui aumenti dell’inflazione.

 

Con Lagarde termina l’era del "Whatever it takes" nel 2022

A giugno 2022 la BCE presieduta da Christine Lagarde ha deciso per lo stop, dal 1° luglio 2022, degli acquisti di titoli di Stato nell’ambito del Quantitative easing. Nella riunione di politica monetaria del 21 luglio la BCE ha deciso di alzare i 3 tassi di riferimento di 50 punti base, portando quello sui depositi allo 0% e ponendo così fine all’era di tassi negativi durata 8 anni.

L’Eurotower ha inoltre indicato che nei prossimi meeting “un’ulteriore normalizzazione dei tassi sarà appropriata”, ma la decisione avverrà di riunione in riunione ed in base all’evoluzione dei dati macroeconomici.

Lagarde ha giustificato la decisione di alzare il costo del denaro dello 0,50% evidenziando i rischi sull’inflazione che si sono materializzati dopo il meeting di giugno. La numero uno della Banca centrale europea ha inoltre segnalato che la precedente forward guidance, ovvero di un rialzo di maggiore entità non è più valida e l’istituto deciderà l’entità del rialzo di settembre in base ai nuovi dati dell’inflazione.

La Lagarde ha sottolineato che l’economia sta rallentando e che la seconda parte dell’anno risulta “nebuloso”. L’inflazione è attesa rimanere alta per un po' di tempo e le pressioni inflattive si stanno intensificando, trasferendosi ad altri settori oltre a quello energetico, per effetto anche di una moneta unica debole.

La BCE ha anche lanciato il nuovo strumento anti-frammentazione, il Transmission Protection Instrument (TPI). Lo strumento potrà essere utilizzato per acquisti (sul mercato secondario) di titoli di Stato di tutti i Paesi dell’Eurozona che subiranno un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali e che causano rischi al meccanismo di trasmissione della politica monetaria.

Gli acquisti del TPI riguarderanno i titoli del settore pubblico con una scadenza residua compresa tra 1 e 10 anni. Se del caso, potrebbero essere presi in considerazione gli acquisti di titoli del settore privato. ll Paese per aver accesso al TPI dovrà rispettare le regole del quadro di bilancio dell'Unione Europea, non presentare l'assenza di gravi squilibri macroeconomici, avere un bilancio pubblico sostenibile e aver adottato politiche macroeconomiche “sane e sostenibili”.

 

10 anni dal “Whatever it takes”: le performance dei principali mercati

Dal celebre giorno in cui Mario Draghi salvo l’Eurozona quali sono state le performance dei principali mercati? Vediamo insieme quali rendimenti hanno archiviato i principali indici azionari del Vecchio Continente (FTSE Mib, Dax, Eurostoxx 50, Euro Stoxx Banks e FTSE 100) e degli Stati Uniti (S&P 500, NASDAQ 100 e Dow Jones Industrial Average).

Inoltre evidenziamo l’andamento di un alcune asset classes del mercato valutario (cambio EUR/USD e cross EUR/CHF), delle materie prime (Oro e petrolio WTI) e anche quello del bitcoin che nel 2012 aveva appena 3 anni di “vita”. Ecco tutti i dati nel dettaglio.

 

INDICE PERFORMANCE DAL 26/07/2012
BITCOIN 4965,14%
NASDAQ 100 395,03%
S&P 500 198,89%
DJIA 152,73%
DAX 101,22%
FTSE Mib 60,46%
EUROSTOXX 50 59,77%
FTSE 100 32,23%
PETROLIO WTI 8,29%
ORO 6,51%
EUR/USD -15,57%
EUR/CHF -17,64%

 

Come si può notare dalla tabella, in termini di performance dal 26 luglio 2012 nei primi tre posti non è una sorpresa vedere – tra gli asset precedentemente citati – il bitcoin, NASDAQ 100 e S&P 500. Tralasciando la volatilità caratteristica della regina delle criptovalute, che ha permesso di registrare performance da capogiro negli ultimi 10 anni, tra i principali indici di Borsa il NASDAQ 100 è al primo posto con un rendimento del 395%.

Sopratutto durante la pandemia di Covid-19 e i conseguenti lockdown a livello globale i titoli del settore tecnologico hanno registrato forti performance e nuovi massimi storici grazie alla cosiddetta stay-at-home economy dovuta alle restrizioni. Segue l’S&P 500 con un ritorno di quasi il 200% rispetto i livelli di 10 anni fa, mentre il Dow Jones registra il 152,73%.

Tra i titoli del Vecchio Continente troviamo il DAX (101% circa), il FTSE Mib che registra il 60,46% (non vengono considerati i dividendi) e l’Eurostoxx 50 (59,77%). Oltremanica segnaliamo il FTSE 100 che ha registrato una performance del 32% circa.

Tra le principali materie prime abbiamo evidenziato il petrolio WTI (+8,29%) e l’oro (6,51%). Il petrolio WTI nell’aprile 2020 ha sbalordito gli investitori andando in territorio negativo (-37 dollari al barile) per la prima volta nella storia, prima di dare vita ad un trend rialzista sostenuto che ha portato le quotazioni a raggiungere i 130 dollari a marzo 2022.

In evidenza anche il metallo giallo, che hanno toccato un massimo storico oltre i 2.000 dollari l’oncia (2.089,20) ad agosto 2020 in scia all’incertezza provocata dalla pandemia di Covid-19 sulle Borse. Nel mercato valutario focus invece sull’ EUR/USD (-15,57%) e EUR/CHF (-17,64%) entrambi con segno meno rispetto ai valori di 10 anni fa.

Di recente sia il cambio Forex principale che l’ EUR/CHF hanno sfondato la parità, il cambio Euro-Dollaro per la prima volta in 20 anni a causa delle turbolenze economiche causate dalla pandemia, alla guerra in Ucraina e al rafforzamento del dollaro USA. La forza del dollaro è stata trainata dall’aumento dei tassi della Federal Reserve e dall’inasprimento quantitativo imposto per combattere l’inflazione che ha raggiunto i massimi da 40 anni.

Come anticipato anche EUR/CHF è sceso al di sotto della parità. Gli economisti ritengono che la Banca nazionale svizzera stia cambiando la sua tattica, mettendo fine agli acquisti di valuta. L'ultima volta che il franco ha superato la parità con l'euro è stata a metà gennaio 2015, dopo che la BNS ha abbandonato il tasso minimo di scambio.

 

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