Dopo la chiusura delle contrattazioni a Wall Street è in agenda la trimestrale di Oracle. I conti della società di Austin, in Texas, sono chiamati a chiarire quanto della narrativa euforica di settembre resti in piedi. Nel Q1 fiscale il gruppo aveva deluso marginalmente su ricavi, a 14,9 miliardi di dollari, ed anche nel caso dell'utile per azione (EPS), che in versione "adjusted" si è attestato a 1,47 dollari, ma aveva acceso la fantasia del mercato con un’esplosione del backlog cloud.
Le Remaining Performance Obligations (RPO), l'insieme degli importi futuri non ancora fatturati per contratti esistenti, sono balzate del 359% su base annua a 455 miliardi di dollari, alimentate da quattro maxi-contratti multi-miliardari con tre clienti, spingendo il titolo Oracle fino a un rialzo intraday di oltre il 30%.
L’infrastruttura cloud (OCI) ha accelerato del 55% a 3,3 miliardi, portando il totale dei ricavi cloud a 7,2 miliardi (+28%), e il management ha indicato un percorso di crescita fino a 18 miliardi di ricavi OCI nel 2026 e 144‑166 miliardi nel 2030. La CEO di Oracle, Safra Catz, ha parlato di un trimestre “sorprendente”, sottolineando come la domanda per Oracle Cloud Infrastructure continui a rafforzarsi.
Le attese per la trimestrale di Oracle relativa al secondo trimestre fiscale 2026 restano solide: il consensus punta a ricavi per circa 16,2 miliardi di dollari (+15% a/a) e a un incremento dell’11‑13% dell’EPS adjusted, con margine lordo intorno al 69%, in flessione dai livelli di un anno fa. Il dato chiave, tuttavia, sarà l’evoluzione del backlog: gli analisti stimano RPO nell’ordine di 520 miliardi, oltre quattro volte il livello di un anno prima, con un incremento trimestrale atteso vicino ai 47 miliardi.
AI, OpenAI e Project Stargate: crescita concentrata e rischio controparte
Nel contesto della trimestrale di Oracle, sotto i riflettori c'è la trasformazione in fornitore di infrastruttura AI, fondata sul contratto da circa 300 miliardi di dollari siglato con OpenAI all’interno del progetto Stargate, piano da 500 miliardi per nuovi data center negli Stati Uniti.
Questa singola intesa potrebbe arrivare a rappresentare quasi un terzo dei ricavi Oracle entro il 2028, creando una concentrazione di rischio clienti senza precedenti per il gruppo. Come ha osservato Mark Moerdler, analista di Bernstein, il contratto con OpenAI offre a Oracle “un'esposizione senza precedenti al rischio di perdita di ricavi da un singolo cliente”, un’esposizione che rende il mercato particolarmente sensibile a qualsiasi segnale di rallentamento da parte della controparte.
La questione è tanto industriale quanto finanziaria. OpenAI è una società ancora in perdita, con un fabbisogno di capitale che potrebbe superare il trilione di dollari entro il 2030, e la capacità di sostenere impegni vicini ai 60 miliardi annui resta oggetto di forte dibattito fra analisti e investitori. Gil Luria, analista di D.A. Davidson, ha affermato che, in caso di fallimento di OpenAI e cancellazione del contratto, Oracle sarebbe costretta a ridimensionare il rollout dei data center, svalutare parte dei contratti e iniziare a ridurre il debito, “ma non andrebbe in default”.
Gli investitori guardano anche alla qualità e alla diversificazione del portafoglio clienti oltre OpenAI. In ottobre il gruppo ha rivendicato una pipeline in espansione con nuovi contratti cloud e un accordo da 20 miliardi di dollari con Meta Platforms, mentre nel trimestre in corso la crescita dell’infrastruttura cloud è attesa accelerare al 71,3% rispetto al 55% precedente, in linea con i ritmi di Amazon, Microsoft e Google Cloud. La trimestrale di Oracle sarà quindi un banco di prova cruciale per verificare che la domanda AI non sia solo il riflesso di un singolo cliente iper-concentrato.
Debito in ascesa, margini sotto pressione e un titolo in bilico
Dietro le cifre da record, si nasconde una struttura finanziaria sempre più aggressiva. Negli ultimi mesi la società ha aggiunto circa 18 miliardi di nuovo debito e sta cercando di raccogliere fino a 38 miliardi aggiuntivi per finanziare il massiccio piano di data center, portando l’esposizione complessiva attorno ai 105 miliardi di dollari a fine agosto.
I Credit Default Swap a cinque anni con sottostante Oracle hanno raggiunto i livelli più alti dal 2009, con scambi che si sono impennati a circa 8 miliardi di dollari nelle nove settimane fino al 28 novembre, segnale di una crescente domanda di copertura contro un possibile deterioramento del merito creditizio (Oracle sotto pressione: CDS schizzano ai massimi dal 2009).
Il mercato azionario ha ovviamente iniziato a prezzare questi rischi. Dopo il picco di inizio settembre, le azioni Oracle hanno oltre 30 punti percentuali, pur restando in rialzo di quasi un terzo da inizio anno. “Stanno tirando il bilancio fino al limite, il free cash flow è negativo e la leva è elevata”, ha commentato Jed Ellerbroek, portfolio manager di Argent Capital Management.
Sul fronte operativo, la trimestrale di Oracle offrirà un test chiave su margini e cash flow. Nel primo trimestre il margine operativo adjusted è sceso di 1,4 punti percentuali su base annua e gli analisti si attendono un’ulteriore contrazione di circa 1,3 punti nel Q2, mentre il free cash flow su dodici mesi è già in territorio negativo per circa 5,9 miliardi di dollari.
Per Michael Sansoterra, CIO di Silvant Capital Management, “non si tratta tanto del tasso di crescita quanto della percezione di come ci stanno arrivando”; finché non si vedrà “un miglioramento dei margini che non sia solo una promessa ma esecuzione reale”, l’investitore resta in una posizione di attesa.
Gli analisti restano comunque divisi: 33 su 46 raccomandano “strong buy” o “buy”, mentre 13 suggeriscono “hold” o “sell”, per un target price medio a 337 dollari, ancora il 50% sopra i livelli correnti, nonostante le revisioni al ribasso.