Dollaro USA: 4 ragioni per cui continuerà a scendere | Investire.biz

Dollaro USA: 4 ragioni per cui continuerà a scendere

24 apr 2023 - 11:02

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Il biglietto verde è la più venduta tra le valute principali. Ecco quali sono le motivazioni per cui gli investitori potrebbero continuare a puntare al ribasso

Il dollaro USA è in crisi: gli investitori continuano ad allontanarsi dal biglietto verde la corsa sfrenata che ha caratterizzato l'anno scorso, quando la Federal Reserve ha iniziato la campagna di incrementi aggressivi dei tassi d'interesse. Oggi le aspettative sono diverse rispetto ad allora. L'inflazione americana, principale causa delle mosse della Fed nel 2022, si è raffreddata. Nel frattempo è sopraggiunta una crisi bancaria che fa temere per una recessione. Quanto basta insomma perché la Banca centrale a stelle e strisce ammorbidisca la sua politica monetaria.
 
Tutto ciò ha fatto perdere molto terreno al dollaro, con il Dollar Index - indice che misura l'andamento della moneta americana rispetto a un paniere di valute - sceso di circa il 10% negli ultimi sei mesi. Un sondaggio condotto da MLIV Pulse dal 17 al 21 aprile tra gli investitori professionali ha riportato un divario di 17 punti percentuali tra orsi e tori, con gran parte degli operatori che afferma di essere esplicitamente ribassista sul dollaro USA. 
 
 

Dollaro USA: perché gli investitori sono in fuga

Le ragioni per cui la divisa statunitense potrebbe marcare ancora perdite oltre quelle già conseguite negli ultimi mesi sono svariate. Una prima motivazione va individuata in un ricorso storico. Esistono altri due precedenti in cui la Fed ha tagliato i tassi d'interesse in maniera netta senza che le altre Banche centrali seguissero la rotta. Fu durante il crollo delle dot-com dei primi anni 2000 e in occasione della grande crisi del 2008. Oggi potrebbe configurarsi la stessa situazione, anche perché gli altri grandi istituti monetari come BCE e BoE sono fermamente impegnate nella lotta a un'inflazione ancora ostica. La divergenza di politica monetaria potrebbe accentuare ulteriormente la fuga dal biglietto verde.
 
Una seconda motivazione si basa sullo yen. Gli investitori giapponesi fino ad ora si sono rifugiati negli asset internazionali, soprattutto americani, perché lo yen era molto debole e il dollaro USA galoppava senza freni. Con l'arrivo di Kazuo Ueda alla guida della Bank of Japan in sostituzione di Haruhiko Kuroda, la politica monetaria nipponica potrebbe radicalmente cambiare. In apertura di settimana Ueda ha precisato che se prima non ci saranno chiari segnali inflazionistici, non avverranno grandi sconvolgimenti nelle decisioni della BoJ. Tuttavia, il mercato si aspetta che presto il nuovo governatore ridurrà il controllo della curva dei rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni e gradualmente inizierà ad alzare i tassi d'interesse, ancora in territorio negativo.
 
Una terza ragione fa riferimento allo yuan. La moneta cinese ancora non ha incorporato del tutto la ripresa dell'economia del Paese. I primi dati macroeconomici di quest'anno però già fanno capire il percorso che avrà il Dragone dopo l'apertura dai blocchi Covid. Con l'economia cinese in grande spolvero ed alla luce delle tensioni geopolitiche, lo yuan potrebbe assumere un ruolo più centrale nel commercio internazionale. Secondo Cedric Chehab, global head of country risk di Fitch Solutions, "poiché la potenza economica della Cina continua a crescere, ciò significa che eserciterà una maggiore influenza nelle istituzioni finanziarie globali e nel commercio". Tra l'altro, Pechino ha ridotto nel tempo la quantità di Treasury Bond statunitensi detenuti. Secondo gli ultimi dati rilasciati dal Dipartimento del Tesoro USA, a febbraio 2023 la Cina era in possesso di quasi 849 miliardi di dollari di titoli di Stato americani, minimo di 12 anni.
 
Infine, si sta procedendo verso una de-dollarizzazione a livello mondiale, con molti Paesi che cercano di diversificare le loro riserve. Dal Brasile alle nazioni del sud-est asiatico, la richiesta è quella di effettuare il commercio in altre valute, oltre che nel dollaro USA. Sulla base dei dati dell' FMI, la moneta americana ha rappresentato il 58,36% delle riserve valutarie globali nel quarto trimestre dello scorso anno, mentre nel 1999 la cifra arrivava a oltre il 70%. "Diversificando le loro riserve di partecipazioni in una sorta di portafoglio più multi-valuta, forse possono ridurre la pressione sui loro settori esterni", ha affermato Chehab.
 
 
 
 

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