Il dividendo è qualcosa che attrae molto gli investitori in un mondo privo del classico flusso cedolare da obbligazioni. Il prezzo da pagare per riscuotere un dividendo si chiama volatilità, un rischio che sulle obbligazioni esiste ma in misura molto minore.
Quando però le cedole da obbligazioni sono quasi a zero e il rischio di perdita di prezzo è elevato per effetto di un inevitabile graduale rialzo dei rendimenti di mercato visto il progressivo disimpegno delle banche centrali dai piano di QE, il dividendo appare un’opzione ancora più ghiotta da cavalcare. Scelta corretta se fatta tenendo conto del proprio profilo di rischio con due aspetti, uno positivo e uno un po’ meno da considerare.
Il primo aspetto positivo è legato alla capacità del dividendo di fornire comunque una remunerazione positiva in grado di ripagare la perdita di potere d’acquisto generata dall’inflazione. Se non completamente almeno in buona parte e comunque su livelli di rendimento storicamente più elevati rispetto alle obbligazioni questo obiettivo viene solitamente raggiunto.
Dal 1990 la Borsa americana ha fornito un rendimento positivo annuo composto di circa l’8% e di questo una buona fetta è da attribuire proprio ai dividendi. Il grafico dello S&P500 ha tutto un altro aspetto con e senza dividendi.
Nello stesso periodo l’inflazione media americana è risultata del 2% e, con il 76% delle aziende americane che paga dividendi ed una prospettiva di inflazione attorno al 2%, questa fetta di torta rappresenta un’ottima stampella per chi cerca di utilizzare il dividendo come strumento di rendita passiva.
Esiste però anche una faccia negativa della medaglia. Quando arrivano le recessioni come quella del 2020, i dividendi possono calare anche drasticamente. Non andranno mai a zero i dividendi di un indice di borsa ma possono subire dei drastici ridimensionamenti. A mero titolo di esempio ho preso i dividendi erogati dal 2017 ad oggi da quattro ETF di Vanguard. Developed World, Europe, Emerging Market e High Dividend. Tutti hanno staccato l’ultimo dividendo a giugno 2020 con la frequenza che risulta essere trimestrale.
I dividendi sono cresciuti rispetto all’anno precedente (sia nel 2018 che nel 2019) con percentuali annue comprese tra l'1% e il 9,5% e poi sono caduti in doppia cifra percentuale nel 2020 con percentuali comprese tra l'11% e il 34%.
Abbiamo perciò di fronte una sorta di investimento a tasso variabile, mai inferiore a zero, ma che può ampliarsi e contrarsi a seconda del ciclo degli utili. Informazione sempre da considerare quando si vanno a stilare dei piani di rendita passiva.
Quello sul quale vorrei però soffermarmi è proprio l’hedging verso il rialzo dell’inflazione. Nel mese in cui l’inflazione americana su base annua ha toccato il 5%, i dividendi pagati nell’ultimo trimestre hanno fatto registrare il più forte incremento degli ultimi 9 anni a 20 miliardi di dollari. La percentuale di confronto tra i dividendi staccati da Vanguard sui suoi ETF a giugno 2021 rispetto al depresso giugno 2020 ci fa vedere come il balzo percentuale è stato notevole e compreso tra il 41% e il 91%.
Non male come inflation linked in grado di proteggere dalla perdita di potere d’acquisto.