Enrico Cuccia fu uno dei personaggi più misteriosi di tutta la scena politico-finanziaria del nostro Paese nel Novecento. Non rilasciava mai interviste, ma agiva spesso sottotraccia nei piani alti del potere, dirigendo le più grandi operazioni della finanza italiana. Meglio averlo alleato che nemico, dicevano nel salotto buono dell'imprenditoria, della politica e della finanza. L'ex Governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, lo definì un siciliano dal sangue freddo.
Enrico Cuccia: biografia
Enrico Cuccia nacque a Roma il 24 novembre 1907 da Petro Beniamino, funzionario del Ministero delle Finanze, e Aurea Ragusa. Le sue origini siciliane erano per via del nonno Simone, che era un noto avvocato a Mezzojuso, nonché parlamentare per 4 legislature. Terminati gli studi al ginnasio, Cuccia frequentò l'Università di Giurisprudenza a Roma dove si laureò nel 1930 a pieni voti con la tesi "La speculazione e i listini delle Borse Valori: teoria e legislazione".
Poco prima della laurea si iscrisse all'albo dei giornalisti e collaborò per 3 anni con il Messaggero, per cui scrisse vari articoli di critica d'arte adottando lo pseudonimo di Nuccio Riccéa. Nel 1931 partì per Londra dove fu assunto in prova presso una sede della Banca d'Italia e l'anno dopo ottenne l'incarico in via definitiva. Due anni più tardi lavorò per l' IRI, l'istituto fondato da Benito Mussolini per la ricostruzione industriale del Paese.
Un incarico importante lo ebbe nel 1936 quando fu spedito in Africa Orientale, precisamente ad Addis Abeba, con il compito di riferire circa operazioni illecite locali con gli scambi valutari. L'operazione era molto delicata perché andava a intaccare gli interessi del Viceré d'Etiopia, Rodolfo Graziani, ma Cuccia si fece valere con grande professionalità stilando rapporti completi e funzionali, ricevendo al suo ritorno in patria l'encomio personale del Duce.
Enrico Cuccia non era però fascista, anzi era proprio contro il regime, che sfidò durante la Seconda Guerra Mondiale, quando dalla Svizzera sostenne la Resistenza e insieme ad altri fece parte di una loggia massonica nominata Piazza del Gesù.
Enrico Cuccia: gli anni di Mediobanca
Nel 1944, Enrico Cuccia e Raffaele Mattioli lavorarono intensamente a un nuovo progetto, quello di creare un ente che fosse specializzato nei finanziamenti a medio termine. Il piano aveva l'obiettivo di sostenere le imprese italiane durante la ricostruzione post-bellica, per questo Cuccia si recò a Washington, insieme a Mattioli ed Egidio Ortona, per chiedere al Governo americano sostegno economico.
Tuttavia, le difficoltà furono molte perché la delegazione doveva fare i conti con le resistenze di chi, come l'allora Governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi, temeva un superamento della legge bancaria del 1936 e un ritorno alla struttura bancaria mista. Inoltre vi era il problema di riuscire a trovare investitori che rischiassero il capitale per entrare nell'azionariato del nuovo istituto.
Grazie al supporto statunitense, però, il progetto vide la luce nel 1946, con la nascita di Mediobanca, di cui Cuccia fu nominato Direttore Generale. Inizialmente gli azionisti di controllo furono Credito Italiano, Comit e Banca di Roma. Nel 1949 Enrico Cuccia divenne Amministratore Delegato della banca e, con lui alla guida, l'istituto di credito fu al centro di tutte le più grandi operazioni che coinvolsero la finanza e l'imprenditoria italiane.
Enrico Cuccia: la scalata Montedison e il caso Sindona
Una delle transazioni più rilevanti gestite da Cuccia e Mediobanca fu la scalata dell' ENI alla Montedison di Giorgio Valeri nel 1968. Quell'anno, la Sogam, finanziaria collegata al gruppo dell'ente di Stato, cominciò a rastrellare in Borsa un pacchetto azionario fino al 20% di Montedison, all'insaputa del suo Presidente. Una volta acquisita la qualifica di azionista di riferimento, la società riformulò le alte cariche dell'azienda e Valeri fu estromesso dalla Presidenza, lasciando il posto prima a Cesare Merzagora, poi a Pietro Campilli e nel 1971 a Eugenio Cefis, già Presidente della stessa ENI.
La strategia di Cuccia in quegli anni era quella di acquisire una serie di partecipazioni incrociate dei maggiori gruppi industriali del Paese, in modo tale da garantire alla banca il controllo effettivo degli stessi.
Nel frattempo però un altro personaggio di spessore stava occupando la scena nella finanza italiana grazie alle sue operazioni spericolate: Michele Sindona. Il siciliano di Patti inizialmente cercò l'appoggio di Cuccia, che non lo ostacolò in alcune sue peripezie finanziarie. Quando poi Sindona cominciò a pestare i piedi al banchiere di Mediobanca, la musica cambiò.
L'OPA alla Bastogi Finanziaria del faccendiere fallì e costui accusò proprio Cuccia di essere stato il regista occulto di tutte le sue disgrazie. Tra i due si era venuto a creare un odio così feroce che addirittura sfociò in episodi estremi e poco chiari, come l'attentato che Cuccia subì nel suo appartamento in via Maggiolini e per cui fu proprio Sindona il principale indiziato come mandante.
Al processo per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, il numero uno di Mediobanca prese parte come testimone, dichiarando che Sindona gli aveva confidato dell'intenzione di voler uccidere l'avvocato che stava indagando su di lui.
Enrico Cuccia lasciò la carica di Direttore Generale di Mediobanca nel 1982, ma fino al 1988 rimase nel Consiglio di Amministrazione. Da allora fu nominato Presidente onorario all'età di 81 anni, ruolo che conservò fino alla sua morte.
In quegli anni il rapporto con il mondo politico e finanziario cominciò a diventare più complesso e a Cuccia toccò adottare una strategia più difensiva. Numerosi furono i contrasti con l'allora Presidente dell'IRI Romano Prodi e con il Presidente di Generali, Cesare Merzagora. Anche l'influenza su aziende come Fiat, Pirelli e Olivetti iniziò ad affievolirsi.
L'ultima grande sfida fu quella relativa al controllo della Comit nel 1999, che vide Cuccia sconfitto a vantaggio di Giovanni Bazoli di Intesa Sanpaolo. Nel frattempo egli aveva designato di fatto Cesare Romiti come suo successore alla guida di Mediobanca.
Enrico Cuccia: gli ultimi anni
Gli ultimi anni di vita di Enrico Cuccia furono contrassegnati da gravi roblemi di salute. Fu spesso ricoverato all'Ospedale Luigi Sacco di Milano e al Centro Cardiologico Monzino per un cancro alla prostata e per patologie di carattere cardio-respiratori, nonché per insufficienza renale. Il calvario terminò il 23 giugno 2000, data in cui il banchiere più discusso del secolo si spense all'età di 92 anni.
I funerali si svolsero in forma riservata, con pochissimi invitati. L'anno successivo a quello della sua morte, la bara fu trafugata dal cimitero di Meina, ad opera di 2 operai piemontesi, Giampaolo Pesce e Franco Bruno Rapelli, che chiesero erroneamente un riscatto di 7 miliardi di vecchie lire a Paolo Cuccia, Amministratore Delegato di ACEA, che credevano fosse il figlio di Enrico. Pochi giorni dopo gli inquirenti risalirono ai due rapitori, che furono arrestati e processati con rito abbreviato, con condanna a 18 mesi di reclusione per Pesce e a 20 mesi per Rapelli.
Dopo la sua morte, Enrico Cuccia fu celebrato da Mediobanca attraverso il cambio della via in cui l'istituto risiedeva: non più via Filodrammatici, ma Piazzetta Cuccia. In eredità il banchiere che per più di 50 anni fu al vertice di una delle più prestigiose banche italiane lasciò un patrimonio complessivo di circa 1 milione di euro, di cui 150 mila euro in denaro su un conto aperto presso la Banca Commerciale Italiana e l'unica proprietà immobiliare di cui Cuccia disponeva, ovvero una villa a Meina. Per tutto il periodo di permanenza a Milano, il banchiere abitò sempre in una casa in affitto.