Intesa Sanpaolo negli ultimi anni ha consolidato il suo ruolo di banca di riferimento del sistema bancario italiano. In queste settimane è protagonista di un'OPAS su UBI Banca. L'offerta lanciata dall'istituto guidato da Carlo Messina è scaduta lo scorso 30 luglio. Secondo gli analisti rappresenta un'operazione capace di creare valore per gli azionisti. La mossa vincente di Intesa Sanpaolo è stata quella di alzare la propria offerta inserendo una parte cash del 10%. Questa rappresenta l'ultima operazione di una realtà che in questi anni è stata capace di partecipare in modo attivo e con successo al processo di aggregazioni bancarie in Italia. Vediamo dunque la sua storia.
Intesa Sanpaolo: le origini e l'evoluzione
Intesa Sanpaolo nasce nel dicembre del 2006, ma l'attività ufficiale decorre dal 1°gennaio del 2007, a seguito della fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI. Due istituti che mettono insieme il nuovo e il vecchio dell'apparato creditizio italiano. Banca Intesa infatti vede la luce nel 1997 dall'integrazione tra il Banco Ambroveneto e il gruppo Cariplo.
Sanpaolo IMI ha tradizioni più antiche. Tutto ha origine nel 1563 quando una confraternita di nome "Compagnia di San Paolo" crea un'istituzione chiamata Monte di Pietà che ha lo scopo di prestare denaro alle persone che sono finite nel mirino degli usurai. Inizialmente tale ente non è una banca vera e propria, essendo che essenzialmente ha fine benefico; però verso il 1650 viene chiamata ad amministrare il debito pubblico dello Stato sabaudo.
L'abilitazione come istituto di credito arriva due secoli dopo, all'inizio dell'800. Diventando Istituto Bancario San Paolo di Torino, la banca ha lo scopo di favorire lo sviluppo dell'industria torinese, ma anche la crescita economica del Paese. Nel 1932 un decreto regio ufficializza la banca come istituto che persegue un interesse pubblico e così sarà fino al 1992 quando Sanpaolo diventa una Società per Azioni.
La politica di acquisizioni negli anni '90 ne rafforza la dimensione territoriale e nel 1998 l'Istituto Bancario San Paolo si fonda con IMI, l'ente di diritto pubblico fondato nel 1931 per sostenere la ricostruzione del sistema industriale nazionale. Le due banche formano un'unione perfetta: la prima è specializzata nell'attività creditizia retail, mentre IMI è una primaria banca d'affari e d'investimento. La società che risulta dalla fusione si chiama Sanpaolo IMI e otto anni più tardi si integra con Banca Intesa, dando vita a quella che è la prima banca italiana per capitalizzazione (44 miliardi) e numero di sportelli (3.000), nonché la terza in Europa dietro BNP Paribas e Banco Santander.
Intesa Sanpaolo: le acquisizioni e quelle banche venete fallite
Sono numerose le operazioni di acquisto da parte del gruppo Intesa Sanpaolo dopo la fusione, tra cui la Cassa di Risparmio di Firenze con un'OPA nel 2008, la Cassa di Risparmio di Venezia e la Banca di Credito Sardo nel 2014 a seguito di incorporazione e la Banca di Risparmio dell'Umbria nel 2016 sempre tramite incorporazione.
L'operazione che più desta scalpore però è il rilevamento il 26 giugno del 2017 delle due banche venete praticamente fallite: la Veneto Banca e la Banca Popolare di Vicenza. Quel giorno Intesa firma con i commissari liquidatori dei due istituti di credito un contratto d'acquisto per 50 centesimi cadauno. È un prezzo simbolico, ma che serve per il salvataggio.
In realtà la prima banca italiana non acquista il totale delle attività, ma da esse scorpora i crediti deteriorati e le obbligazioni subordinate, oltre che altri rapporti giuridici e acquisiti effettuati che non vengono considerati funzionali. Nello specifico Intesa Sanpaolo rileva: 26,1 miliardi di crediti non ad alto rischio, 4 miliardi di crediti ad alto rischio ma con possibilità di retrocessione al Tesoro entro il 2020, 8,9 miliardi di attività finanziarie, 1,9 miliardi di attività fiscali, 25,8 miliardi di debito verso la clientela, 11,8 miliardi di obbligazioni senior e 23 miliardi di raccolta indiretta.
Per mettere in piedi l'operazione il gruppo torinese, con decreto 99/2017, riceve dallo Stato: 3,5 miliardi di contributi per coprire l'impatto sui coefficienti patrimoniali e in particolare sul TIER1; 1,285 miliardi per coprire gli oneri per la chiusura di 600 filiali e per la salvaguardia dei posti di lavoro; 1,5 miliardi di garanzie pubbliche sui rischi derivanti da fatti successi prima che avvenisse l'acquisizione.
In verità quei 3,5 miliardi che lo Stato dà al gruppo bancario sottoforma di contributi permettono a quest'ultimo di rilevare solo la parte buona delle banche, mentre lo Stato si sobbarca tutta la fetta disastrata. La cosa anomala è che il Tesoro iscrive nel bilancio statale un credito per la cifra corrispondente verso due banche praticamente morte.
Intesa Sanpaolo: l'ultima grande operazione, l'OPAS su UBI Banca
Il 18 febbraio 2020 l'Amministratore Delegato Carlo Messina annuncia a sorpresa il lancio di un'Offerta Pubblica di Scambio con UBI Banca che prevede lo switch di 17 azioni Intesa Sanpaolo per ogni 10 azioni UBI Banca. L'operazione viene effettuata con un premio per i soci della quarta banca italiana del 27,6% rispetto alle quotazioni di Borsa del 14 febbraio e comporta un giro di denaro di 4,9 miliardi di euro.
Il deal non sembra cosa facile, anche perché deve superare gli ostacoli posti dall'Antitrust, però l'obiettivo è chiaro: creare delle sinergie tra i due istituti di credito, consolidando la posizione a livello nazionale di Intesa Sanpaolo e migliorando la situazione economico-patrimoniale della banca lombarda.
Nonostante molte resistenze all'interno del CdA e in seno all'assetto societario di UBI Banca, l'operazione prende il via il 6 luglio. Al fine di aumentare le adesioni, il 17 luglio scorso l’istituto guidato da Carlo Messina alza l’offerta di 652 milioni di euro, aggiungendo un premio in denaro di 5,7 euro oltre al cambio di 17 azioni Intesa per ogni 10 azioni UBI.
A questo punto, il premio era pari al 44,7% rispetto alle quotazioni di UBI Banca al 14 febbraio 2020. Il 27 luglio la CONSOB allunga di due giorni i termini del periodo di adesione a causa di presunte irregolarità dell’ex popolare sulla correttezza e completezza dell’informazione fornita ai piccoli azionisti. Dal 28 luglio il termine per l’adesione all’OPAS passa al 30 luglio 2020.
Il 28 luglio le azioni consegnate raggiungono comunque il 71,908% dell’offerta, superando la soglia del 66,67% necessaria perché Intesa riuscisse ad avere il controllo sull’Assemblea Straordinaria di UBI e procedere quindi alla fusione e alla vendita di 532 sportelli della banca guidata da Victor Massiah a BPER.
I risultati preliminari dell’OPAS pubblicati il 30 luglio 2020 decretano il successo dell’iniziativa con 1.031.956.527 azioni portate in adesione, pari al 90,206% dell'offerta, si è conclusa ieri l’OPAS di Intesa Sanpaolo su UBI Banca. Per Ca’ De Sass la conquista di oltre il 90% (ma sotto il 95%) del capitale di UBI Banca rende obbligatorio l’acquisto da parte di Intesa Sanpaolo delle azioni dell'ex popolare rimaste in mano agli azionisti che ne dovessero fare richiesta.
Questi soggetti potranno beneficiare delle condizioni dell’OPAS (17 azioni Intesa Sanpaolo più 5,70 euro cash per ogni 10 azioni UBI Banca) o decidere di farsi liquidare i titoli in contanti ad un prezzo calcolato facendo la media dei prezzi di chiusura delle ultime cinque sedute delle azioni UBI Banca a partire dal 30 luglio 2020. Ad aprile 2021 è atteso l’ok di UBI al progetto di fusione.