Banca d'Italia: storia, origine e sviluppo di Bankitalia | Investire.biz

Banca d'Italia: storia, origine e sviluppo di Bankitalia

12 dic 2020 - 10:36

06 dic 2022 - 09:12

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Quando è stata costituita la Banca d'Italia? Quali sono le principali caratteristiche? Quali funzioni svolge? E' un istituto pubblico o privato? Ecco tutte le risposte

La Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico che svolge il ruolo di Banca Centrale per la Repubblica Italiana e fa parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali. La sede centrale si trova a Roma, a Palazzo Koch, situato in Via Nazionale. Sul territorio però esercita l'attività attraverso 39 filiali, di cui 20 sono ubicate in ogni capoluogo di Regione.

La sua disciplina è regolata sia da norme interne che da regole di diritto comunitario. L'attuale Governatore è Ignazio Visco, che è in carica dal 20 ottobre del 2011. In gergo giornalistico la Banca d'Italia viene chiamata anche Bankitalia.

 

Banca d'Italia: le principali funzioni

Il ruolo della Banca d'Italia è estremamente delicato in quanto ha la funzione di mantenere la stabilità del sistema finanziario e monetario, attraverso il controllo dei prezzi. Inoltre, come sancito dall'art.47 della Costituzione, ha il compito di tutelare il risparmio.

Riguardo la circolazione del denaro, l'istituto centrale stampa cartamoneta nel rispetto delle quote assegnate dall'Eurosistema, ne regola la circolazione e svolge azioni di contrasto al fenomeno della contraffazione del denaro. Attraverso i circuiti di pagamento, promuove e sorveglia i sistemi di pagamento. Per ciò che attiene al debito pubblico, svolge funzioni di tesoreria, incassando la somma presa in prestito e provvedendo all'effettuazione dei pagamenti.

La Banca d'Italia ha dei poteri di vigilanza su tutto il sistema bancario, che si concretizzano nell'emanazione di regolamenti, nella visione di documenti e nell'esercizio di attività ispettive presso le sedi bancarie.

 

Banca d'Italia: origine

La Banca d'Italia nacque il 10 agosto 1893 con la Legge n.449 con la quale si operava la fusione tra quattro banche italiane: La Banca Nazionale nel Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le industria e il Commercio d'Italia e la Banca Romana.

L'istituto nasceva come S.p.A. di diritto privato e svolgeva la funzione principale di riscontare le cambiali delle banche, senza avere alcun potere di vigilanza.

 

Banca d'Italia: gli sviluppi

Un cambiamento effettivo nelle funzioni della Banca Centrale si ebbe a partire dall'inizio del XX secolo, quando cominciò ad assumere il ruolo di gestore di tutta la politica monetaria e di prestatore di ultima istanza. Da lì si iniziò a pensare all'istituto come stabilizzatore dei prezzi e non tanto come società che mira al profitto.

In quegli anni Bankitalia intervenne direttamente sul sistema bancario attraverso varie operazioni di salvataggio, come ad esempio quella della Società Bancaria Italiana nel 1907 e del Banco di Roma in due battute: prima nel 1914 e poi nel 1921. Nel frattempo il Parlamento approvò una legge con la quale si diede alla Banca d'Italia il compito di vigilare sulle altre banche.

 

Banca d'Italia: la legge bancaria del '36

Con la Legge n.375 del 12 marzo 1936 la Banca d'Italia diventò un istituto di diritto pubblico, attraverso l'espropriazione da parte dello Stato delle quote detenute dagli azionisti privati. La ragione di tale scelta era che quella di tutelare il risparmio dei cittadini, come sancito dall'art.47 della Costituzione.

Successivamente il Governo emanò altri decreti, con i quali alla Banca d'Italia furono estesi i compiti di vigilanza e fu confermato il monopolio di stampare moneta. Inoltre fu stabilito che l'istituto centrale non potesse più fare credito ai privati, ma solamente alle banche.

Queste ultime dovevano depositare presso la Banca Centrale una quota di riserva obbligatoria e potevano essere sottoposte a strette o ampliamenti nella concessione del credito. Con lo scopo di garantire la stabilità nella gestione del rischio, la legge imponeva dei requisiti di carattere patrimoniale e gestionale per gli istituti di credito, come il capitale minimo, il rapporto tra attività e depositi e limiti di fido.

 

Banca d'Italia: il Dopoguerra

Dopo la Seconda Guerra Mondiale si dovette affrontare un problema di inflazione che spingeva gli operatori a spostare i capitali all'estero. Fu per questo che il Governatore Luigi Einaudi volle una stretta creditizia, attuata mediante l'utilizzo della riserva obbligatoria sui depositi, che era stata introdotta anni prima ma mai veramente applicata.

Nel 1948 fu stabilito che il Capo di Bankitalia dovesse regolare la circolazione di moneta e stabilire il tasso ufficiale di sconto. Una restrizione monetaria di fondo continuò anche durante gli anni della ricostruzione, quando a Palazzo Koch subentrò Donato Menichella.

In realtà la scelta di politica monetaria fu più equilibrata, dove non si adottarono manovre troppo espansive per stimolare la crescita, ma nemmeno provvedimenti estremamente austere. L'obiettivo fondamentalmente era quello di garantire una certa stabilità accompagnando lo sviluppo, cosa che poteva attuarsi grazie al fatto che il debito pubblico fosse comunque tenuto sotto controllo.

 

Banca d'Italia: la crisi della Lira e gli shock petroliferi

La situazione di relativa tranquillità perdurò fino all'anno 1963, quando una serie di  attacchi speculativi mandarono in crisi la nostra valuta e provocarono la risalita dell'inflazione. Quello rappresenò la fine del boom economico che durava da un decennio.

L'allora Governatore Guido Carli a tal punto prese immediatamente le redini della situazione e si recò a Washington per trattare un finanziamento monstre con la Federal Reserve e il Tesoro USA. Lo scopo era sorreggere la Lira che stava precipitando a fondo. Della partita furono anche la Banca d'Inghilterra e il FMI. Bastarono alcuni annunci che le speculazioni si placarono e la situazione tornò alla normalità nella primavera del 1964.

Per un decennio non vi furono altri grossi scossoni, fino a quando la Banca d'Italia fu nuovamente messa a dura prova con un'altra forte stretta monetaria durante il  primo shock petrolifero del 1973 che fece schizzare i prezzi alle stelle. La cosa fu ripetuta anche durante il  secondo shock del petrolio del 1979.

 

Banca d'Italia: la separazione dal Tesoro

Il 12 febbraio del 1981 uno scambio di lettere tra il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi sancì il divorzio tra lo Stato e la sua Banca Centrale. In sostanza, il Tesoro non poteva più contare sul paracadute dell'istituto centrale qualora non fosse riuscito a piazzare i titoli del debito pubblico sul mercato primario. In altri termini, da quel momento Bankitalia smetteva di fatto di essere prestatore di ultima istanza.

L'evento provocò non poche polemiche, soprattutto all'interno della maggioranza di Governo. Le accuse che veniva mosse trovarono poi corrispondenza nella realtà, ovvero nel fatto che il debito pubblico italiano si trovò esposto ai mercati finanziari e vide lievitare il suo ammontare per via degli interessi che si facevano sempre più onerosi.

D'altro canto quella decisione raggiunse l'effetto sperato di combattere l'inflazione che il secondo shock petrolifero aveva fatto andare fuori controllo. La crescita dei prezzi infatti passò dal 20% del 1980 a un livello inferiore alla soglia del 5% negli anni dopo la separazione.

L'indipendenza della Banca Centrale insomma determinò una spaccatura netta tra quella che doveva essere la politica fiscale di competenza del Governo e la politica monetaria a totale appannaggio della Banca d'Italia.

 

Banca d'Italia: la privatizzazione

Il 1992 fu un anno cruciale per il nostro Paese. Il 7 febbraio di quell'anno l'Italia aderì al Trattato di Maastricht,  impegnandosi all'osservanza di rigidi criteri di tenuta dei conti. Contestualmente furono emanate due leggi. La prima fu la Legge n.35 del 29 gennaio, denominata Legge Carli-Amato, con la quale venne avviata una serie di privatizzazioni che riguardarono istituti di credito ed enti pubblici. In mezzo ci stava anche la Banca d'Italia, che da quel momento fuoriuscì dal controllo dello Stato divenendo partecipata da diverse banche private. La seconda fu la legge n.82 del 7 febbraio, con la quale l'istituto centrale determinava in assoluta autonomia il tasso ufficiale di sconto senza doverlo concordare con il Tesoro.

Anche con queste due leggi infuriarono le polemiche, in quanto si dava potere a istituti privati di determinare la politica monetaria nel Paese e di operare in palese conflitto d'interesse, soprattutto in tema di vigilanza.

Il colpo finale che determinò la sottrazione di Bankitalia dalla gestione del Governo fu dato dal Decreto Legislativo n.43 del 10 marzo 1998 con il quale la Banca d'Italia aderiva al Sistema Europeo delle Banche Centrali.

Il 20 settembre del 2005 l'istituto centrale per la prima volta nella storia rese disponibile l'elenco degli azionisti che partecipavano il capitale. Tuttavia con il D.P.R. del 12 dicembre 2006 fu tra l'altro ribadita la natura pubblicistica della Banca d'Italia, nonché la totale autonomia e indipendenza dell'operato.

Il principio fu confermato dalla sentenza n. 16751 del 21 luglio 2006 delle sezioni unite della Corte Suprema di Cassazione. Secondo tale sentenza, la Banca d'Italia seguiva le stesse regole di una società per azioni, ma rimaneva un ente pubblico con finalità di pubblica utilità.

Quindi la politica monetaria veniva esercitata sempre nel rispetto dell'interesse economico generale, anche se questo poteva contrastare con gli interessi da parte dei partecipanti al capitale. Essendo un ente pubblico, di conseguenza, la Banca d'Italia non poteva essere sottoposta a fallimento.

Con l'obiettivo di mantenere l'indipendenza dell'istituto monetario dall'influenza politica, è stato previsto che gli azionisti possano essere solo banche, assicurazioni, fondazioni, istituti previdenziali e assicurativi che hanno sede in Italia. Inoltre con la Legge n.5/2014 è stato stabilito che ogni partecipante al capitale sociale può detenere una quota massima del 3% per poter avere diritto di voto e per usufruire della distribuzione dei dividendi. Per la quota eccedente il 3%, tali diritti vengono negati.

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