A Wall Street sembra essere tornata la paura, con gli investitori che hanno preso di mira le Big Tech. L’indice di volatilità VIX Cboe ha superato con decisione la soglia chiave dei 20 punti, considerata fondamentale per definire il sentiment di mercato. Oltre tale livello, solitamente si apre una fase di ribassi delle quotazioni, segnale che gli operatori nutrono poca fiducia nelle azioni.
Il rilascio della trimestrale di Nvidia, in programma la prossima settimana, arriva quindi in un clima surriscaldato: qualsiasi dato del gigante dei chip che peggiori il sentiment rischia di innescare una corsa al ribasso. A complicare il quadro hanno contribuito anche le dichiarazioni di alcuni funzionari della Federal Reserve, che allontanano la possibilità di un terzo taglio dei tassi a dicembre.
Tuttavia, ciò che inquieta davvero Wall Street in questo momento è la presa di posizione di Michael Burry sulle Big Tech. Colui che aveva previsto la Grande Crisi del 2008 ora immagina tempi difficili per le grandi aziende tecnologiche, le cui quotazioni sarebbero state gonfiate dall’entusiasmo intorno all’intelligenza artificiale. Il gestore dell’hedge fund Scion Asset Management si prepara al suo personale “Big Short” sulla tecnologia, proprio come fece con i mutui subprime, assumendo posizioni corte tramite opzioni put su due icone del settore, Nvidia e Palantir (Michael Burry è short su Nvidia e Palantir, è ora di preoccuparsi?).
Big Tech: riflettori puntati sugli ammortamenti
Questa settimana Burry ha agitato ulteriormente gli investitori, affermando in un post sui social media che le grandi aziende tecnologiche, fortemente esposte nelle spese legate all’AI, starebbero aumentando artificialmente gli utili estendendo il periodo di ammortamento (Michael Burry lancia l'allarme: le Big Tech “truccano" i bilanci).
I quattro colossi più spendaccioni - Amazon, Meta Platforms, Alphabet e Microsoft - prevedono per il 2025 un capex superiore ai 400 miliardi di dollari, perlopiù destinati a server, data center e infrastrutture di rete per l’intelligenza artificiale. Nei prossimi 12 mesi la spesa è destinata a crescere fino ad almeno 460 miliardi. Negli ultimi anni, queste Big Tech, ad eccezione di Amazon, hanno stabilito che i cespiti perdono valore più lentamente; il punto è capire se ciò rispecchi la realtà.
Gli scettici sostengono che il deprezzamento dovrebbe accelerare man mano che i produttori di chip, come Nvidia, rilasciano aggiornamenti a un ritmo sempre più rapido. Amazon, infatti, adottando questa logica, a febbraio ha ridotto la vita utile delle apparecchiature server da sei a cinque anni. Le scelte contabili delle altre aziende, però, cominciano a sollevare diversi dubbi. Basti pensare che, nell’ultimo trimestre del 2023, Microsoft, Alphabet e Meta avevano totalizzato circa 10 miliardi di dollari di ammortamenti, mentre nel trimestre concluso a settembre 2025 la cifra è più che raddoppiata e l’anno prossimo è destinata quasi a triplicare.
Se Burry avesse ragione, significherebbe che le Big Tech sono sopravvalutate? Il rischio esiste. Le prossime trimestrali diranno se le spese colossali trovano effettiva giustificazione nei numeri di bilancio. Fino ad allora, il sospetto resta.