Lo chiamavano il Re Mida della Borsa perché riusciva a trasformare in oro tutto ciò che toccava, che si trattasse di azioni, di materie prime o di valute. Aldo Ravelli è stato la testimonianza di una Borsa che non c'è più, dove gli agenti si affollavano nel salone delle grida con un blocchetto e una matita in mano per segnare gli ordini di acquisto e di vendita che strillavano a un soggetto posizionato in alto che raccoglieva le indicazioni.
Dal suo studio sito in via Dogana, in prossimità di Piazza Duomo, sono passati i personaggi più illustri dell'imprenditoria e della finanza italiana. L'icona di Piazza Affari si dichiarava uno con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, ma aveva un principio sacrosanto: non tradire mai la fiducia dei clienti, mantenendo l'assoluta riservatezza. Una sorta di karma che cercò di trasferire anche ai suoi allievi. Su tutti Sergio Cusani, implicato nella vicenda della tangente Enimont e che al processo rivendicò quanto insegnato dal suo mentore.
Aldo Ravelli: gli inizi a Piazza Affari
Aldo Ravelli nacque a Bollate il 31 luglio del 1911. La sua avventura nel mondo della finanza cominciò a 13 anni, mentre frequentava le scuole tecniche in un collegio arcivescovile a Saronno. Non aveva voglia di studiare e fu bocciato.
Anticipando la punizione del padre, espresse l'intenzione di voler andare a lavorare. Il padre si oppose, ma con l'intermediazione del nonno, un ricco imprenditore edile, si trovò un compromesso: il giorno al lavoro e la sera a scuola all'istituto tecnico Schiapparelli.
I rapporti tesi con il genitore perduravano però, così un giorno costui chiese a un amico che lavorava presso un'azienda di cereali che aveva gli uffici sullo stesso piano degli agenti di cambio Birassi-Rossi di introdurre il figlio presso lo studio.
Aldo Ravelli rimase impressionato la prima volta che mise piede in Piazza Affari e decise in un attimo che quello sarebbe stato il suo mondo. Il suo compito era solo quello di rispondere al telefono e passare la telefonata agli agenti, ma il mago di Bollate non poteva limitarsi a questo, mostrando sempre più sicurezza nel ricevere gli ordini e nel trasmetterli.
Nel 1933 si era guadagnato una posizione di forza nello studio, dal momento che seguiva gran parte dei clienti. A quel punto decise che il ruolo gli stava stretto e propose all'azienda di diventare socio. La risposta fu di un diniego, ma gli fu fatta l'offerta di prendere il 4% sugli utili.
Ravelli però era molto deciso ormai e scelse di andarsene, scatenando l'ira degli agenti. "Così mi porti via i clienti" disse Luigi Birassi. "Questa è la vita" rispose freddamente Ravelli. Fatto sta che le cose cominciavano a carburare e a poco più di 20 anni il ragazzo di Bollate aveva accumulato un patrimonio di 300.000 lire, una cifra consistente per l'epoca.
Aldo Ravelli: il nemico Sindona
Aldo Ravelli è sempre stato un ribassista, perché convinto che le cose sarebbero andate sempre peggio in un ordine naturale. Gli altri operatori spiavano le sue mosse, perché lo ritenevano il più abile e intelligente in quell'ambiente.
Un aneddoto curioso fu quella volta che decise di vendere tutto, scatenando il panico in Piazza Affari. Al che, gli altri agenti le chiesero con aria smarrita cosa stesse facendo. La sua risposta lasciò tutti di sasso: "vado in vacanza per 15 giorni con mia moglie e voglio viaggiare leggero".
Il suo nemico giurato in quel mondo era Michele Sindona. Ravelli non amava le operazioni ultra-speculative e spesso poco chiare del finanziere di Patti. Lo definiva un golpista della Borsa. Sindona aveva cercato sin da subito di portare Ravelli nella sua scuderia, provando a fare affari con lui, ma il Re Mida cercava di mantenersi a distanza.
Quando lo spregiudicato finanziere decise di dare l'assalto all'Italcementi dell'ingegner Carlo Pesenti, Ravelli fu determinante per impedire la scalata. Pesenti infatti lo chiamò nel suo ufficio e chiese informazioni su cosa stesse facendo Sindona e come poterlo fermare.
La risposta di Ravelli fu la seguente: "se lei ha la maggioranza delle azioni occorre comprare qualcosa per fargli pagare prezzi più alti, in caso contrario non bisogna più fargliene comprare una a qualsiasi prezzo". Dopo tre giorni in cui l'ingegnere ebbe modo di riflettere, telefonò a Ravelli e gli chiese di comprare tutte le azioni che riusciva. Alla fine la spuntò Pesenti, anche se a prezzo salato.
I rapporti tra Ravelli e Sindona erano diventati molto tesi. Memorabile fu lo scontro sulla Pacchetti, azienda manifatturiera che produceva pellicce. Aldo Ravelli era convinto che la società in Borsa valesse poco e aveva puntato al ribasso operando allo scoperto, ma le speculazioni finanziarie di Sindona l'avevano fatta salire da 200 a 1.200 lire. Alla fine per coprire l'operazione Ravelli fu costretto a comprare i titoli proprio da Sindona, sostenendo un salasso di oltre 40 miliardi di lire.
Aldo Ravelli: l'adorazione per Cuccia
Se Michele Sindona era il finanziere da cui bisognava ben guardarsi, per Ravelli colui da ammirare e idolatrare era Enrico Cuccia. Ecco cosa diceva di lui: "era un uomo molto intelligente, un vero banchiere che gestiva tutto con serenità, senza speculare. Ha regolato il mercato attraverso Mediobanca, dalla regia degli aumenti di capitale all'assistenza finanziaria riguardo tutte le più grandi società della finanza italiana".
Ravelli riteneva che tutti coloro che si mettevano contro Cuccia non avessero capito il suo vero potere. "È l'unica persona che può servire qualsiasi politica, perché quello che fa non lo fa per scopo personale. In questo ha le mani pulite", diceva. Infatti, la fine di Sindona cominciò proprio quando egli si mise a pestare i piedi al capo di Mediobanca, rimanendo inghiottito in un ingranaggio che lo stritolò.
Aldo Ravelli: Agnelli e Berlusconi
Il potere dell'imprenditoria italiana è in mano a Gianni Agnelli, affermava Ravelli, che lo considerava alleato di ferro di Enrico Cuccia. Nulla si muove se non è la coppia Agnelli-Cuccia a decidere, sosteneva il grande agente di cambio. Non era molto convinto invece di Berlusconi.
A suo avviso, la vittoria alle elezioni del '94 avevano creato un ambiente favorevole in Borsa, con l'allora capo del gruppo Fininvest che aveva l'obiettivo di rivalutare le quotazioni per favorire il processo di privatizzazione dello Stato. Ravelli sosteneva però che "Berlusconi doveva obbedire a Cuccia", in quanto alla fine sarebbe stato quest'ultimo a regolare il mercato. Infatti i ribassi che poi ne seguirono, furono una palese dimostrazione.
Aldo Ravelli: gli ultimi anni di vita
Aldo Ravelli di fatto non smise mai di lavorare. Anche negli ultimi anni di vita, contrassegnati da un cattivo stato di salute per via del morbo di Parkinson, il grande finanziere si recava ogni giorno in ufficio per seguire i suoi affari e quelli dei suoi clienti. "Ancora oggi mi diverto a comprare e vendere titoli in Borsa", diceva.
In tutta la sua vita ha fatto della riservatezza un credo, per questo ha rifiutato sistematicamente di concedere interviste, tranne che nell'ultimo anno della sua esistenza. Ad avere il privilegio è stato il giornalista Fabio Tamburini, che ha riportato i colloqui con Ravelli in un libro intitolato "Misteri d'Italia".
Nel libro, Ravelli racconta circa 70 anni di storia in Piazza Affari, svelando retroscena all'epoca poco conosciuti. Qualche settimana dopo la fine dell'intervista, ovvero il 17 giugno 1995, il Re Mida della Borsa si spense all'età di 83 anni.