Michele Sindona: chi era il finanziare morto per un caffè | Investire.biz

Michele Sindona: chi era il finanziare morto per un caffè

22 mar 2021 - 07:00

30 nov 2022 - 21:11

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Il 22 marzo 1986 si spense uno dei più grandi protagonisti della finanza italiana nella Prima Repubblica. Celebriamo l'evento raccontando le gesta del banchiere siciliano

Michele Sindona è stato uno degli uomini più controversi della finanza italiana del Dopoguerra. Siciliano di origine, si è distinto nel panorama finanziario italiano e internazionale per le sue avventate speculazioni e i rapporti poco ortodossi con organismi criminali come la loggia massonica P2 e Cosa Nostra, nonché con i settori deviati dello Stato. È stato prima amico e poi nemico acerrimo del banchiere Enrico Cuccia. Secondo alcuni storici furono proprio i contrasti con il numero uno di Mediobanca a determinare la fine della sua ascesa e l'inesorabile declino che ebbe come triste epilogo il decesso per avvelenamento nel carcere di Voghera.

 

Michele Sindona: biografia

Michele Sindona nacque a Patti l'8 maggio 1920 da un padre napoletano che faceva il fioriaio e da una madre casalinga siciliana. Già da piccolo cominciò a lavorare perché la famiglia non era in grado di pagare gli studi. Il parroco del Paese diceva di lui che avesse una mente geniale e quindi lo aiutò a trovare lavoro prima come dattilografo, poi come contabile e infine nell'Ufficio Imposte di Messina come impiegato.

Si iscrisse all'Università in Giurisprudenza, ma lo stipendio che prendeva all'Ufficio Imposte era solo di 330 lire al mese e non gli permetteva di affrontare le tasse scolastiche, per questo la sera dava lezioni private di fisica e filosofia. Riuscì a laurearsi a soli 22 anni.  Da lì iniziò il praticantato presso lo studio di un avvocato del posto e rimase per 2 anni, dopodiché si trasferì a Milano aprendo uno studio di consulenza tributaria. Le sue conoscenze legali e fiscali (grazie all'esperienza lavorativa) fecero di Sindona uno dei commercialisti più richiesti negli anni '50.

Da subito intuì che il vero denaro passava dalla Borsa e alle società che usufruivano della sua consulenza l'avvocato di Patti chiedeva di essere pagato in azioni e non in denaro. La sua capacità era quella di andare a setacciare azioni che erano sottovalutate e bastava uno scintillio che attirasse la sua attenzione per agire immediatamente. La prima società che rilevò in questo modo fu la Farmaeuropa, un'azienda farmaceutica che aumentò rapidamente di valore allorché Sindona ci mise le mani. Quella fu la prima di una lunga serie di operazioni vincenti che gradualmente costituirono una piccola fortuna del finanziere rampante.

 

Michele Sindona: le speculazioni finanziarie

Negli anni '60 Michele Sindona trasferì a Piazza Affari molti degli strumenti che venivano utilizzati a Wall Street e dei quali era stato un valoroso apprendista. Nel contempo però cominciò a tessere relazioni controverse e pericolose con personaggi legati alla mafia americana come Lucky Luciano e la famiglia Genovese.

Nel 1961 comprò la Banca Privata Finanziaria e quello fu il suo primo acquisto di un istituto di credito. Attraverso di essa, Sindona poté riciclare il denaro sporco che veniva da Cosa Nostra siciliana, così nel 1967 fu segnalato dall'Interpol, senza però che se ne venisse a capo di nulla.

Due anni più tardi la Banca di Sindona accolse lo IOR, l'Istituto per le Opere Religiose, che rappresentava la Banca del Vaticano. Attraverso la Banca Privata Finanziaria grandi somme di denaro del Vescovado venivano trasferite presso banche svizzere.

La sfavillante cavalcata del finanziere di Patti si interruppe bruscamente quando tentò di impadronirsi nel 1972 della Bastogi Finanziaria, lanciando un'OPA che vide l'opposizione dei gruppi di potere finanziario a cui faceva capo Enrico Cuccia. La Bastogi era una società strategica, che controllava grandi compagnie italiane come Pesenti,  Pirelli, Centrale e SNIA. Inoltre, attraverso Italcementi, che controllava Bastogi, Sindona si sarebbe appropriato di RAS e di una parte importante di Montedison.

Questo avrebbe significato occupare il posto nel gotha della finanza italiana fino ad allora esercitato da Cuccia e quindi detenere un potere immenso nell'ambiente politico e imprenditoriale. Da qui l'ostilità di Mediobanca. Da quel momento la stella di Sindona smise di brillare e per l'avvocato siciliano iniziarono una serie di guai giudiziari.

 

Michele Sindona: il crac della Franklin National Bank

Il 1972 fu un anno cruciale per il banchiere siciliano. Quell'anno Sindona entrò in possesso di una delle 20 più grandi banche americane: la Franklin National Bank. La sua vena megalomane lo spinse a cercare di allargare il suo impero con investimenti in partecipazioni di istituti di credito internazionali come la Finabank di Ginevra e la Continental Illinois di Chicago. Il problema fu che in molte operazioni entrava in rotta di collisione con Mediobanca e il suo nemico numero uno, quell'Enrico Cuccia i cui rapporti erano ormai irrimediabilmente compromessi.

Nel 1974 una serie di operazioni delle sue banche a sostegno della Lira italiana valse a Sindona l'onorificenza dell'allora Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti che lo apostrofò come il salvatore della Lira. Quello forse fu l'ultimo raggio di sole in mezzo a una bufera che stava per abbattersi sopra la testa dello spregiudicato finanziere.

Poco dopo la Banca Privata Italiana saltò per aria, seguita a ruota dal  crac della Franklin National Bank. Le speculazioni in valuta straniera e le stravaganti politiche di gestione dei prestiti crearono buchi finanziari enormi che non poterono non sollevare l'attenzione della magistratura italiana e americana.

La procura di Milano chiese l'estradizione per Sindona, che viveva in America, per il fallimento della Banca Privata Italiana. Nel frattempo il Governatore della Banca d'Italia Guido Carli nominò l'avvocato Giorgio Ambrosoli come commissario liquidatore della banca, cosa che decretò la sua uccisione proprio per mano di un sicario mandato da Sindona l'11 luglio 1979.

Quanto alla Giustizia americana la Commissione d'inchiesta del Senato degli Stati Uniti sul crack della Franklin Bank fece emergere una fitta rete di rapporti tra il banchiere di Patti ed esponenti della Democrazia Cristiana. Attraverso questa rete furono versate delle tangenti per 2 miliardi di lire al fine di ottenere copertura politica e finanziare la campagna elettorale. Furono coinvolti anche i servizi segreti italiani e americani, nonché i vertici della loggia massonica P2.

 

Michele Sindona: il finto sequestro

Ormai nei guai fino al collo, Sindona tentò un coupe de theatre simulando un finto sequestro per opera di un fantomatico gruppo terroristico denominato "Comitato Proletario Eversivo per una Vita Migliore". In realtà il tutto fu organizzato con la collaborazione della mafia americana e siciliana, attraverso cui Sindona fu munito di un passaporto falso per arrivare a Vienna. Da lì prese la direzione per Atene da cui partì per giungere a Brindisi e poi in automobile a Caltanissetta, dove fu prelevato da alcuni esponenti massoni e malavitosi.

Tra questi vi era il medico di fiducia affiliato alla loggia P2 Joseph Miceli Crimi, il quale sotto anestesia sparò ad una gamba a Sindona per cercare di rendere veritierio il sequestro fasullo. Durante quel periodo il banchiere siciliano tirò fuori "la lista dei 500", un elenco di 500 persone che comprendeva esponenti di alto rango della politica italiana, della mafia, dei servizi segreti e della massoneria che avevano esportato illegalmente capitale all'estero.

Questo serviva come arma di ricatto per barattare il salvataggio delle sue banche e soprattutto della sua situazione personale a livello giudiziario. Il tentativo però non ebbe grande successo e il 16 ottobre 1979 Sindona ricomparve a Manhattan in una cabina telefonica in condizioni simili a quelle di un sequestrato, consegnandosi alle Autorità giudiziarie americane.

 

Michele Sindona: le condanne e il triste epilogo

Le prime condanne per Sindona arrivarono quando egli era rinchiuso nelle prigioni statunitensi. Nel 1980 il Tribunale di Manhattan comminò una pena di 25 anni di reclusione e 207 mila dollari di ammenda per frode, spergiuro, falso bancario e appropriazione indebita. Ma l'accusa più pesante arrivò dalla magistratura italiana, per cui il Governo italiano chiese e ottenne l'estradizione il 25 settembre 1984. Infatti il finanziere era sospettato di essere il mandante dell'assassinio dell'avvocato liquidatore Giorgio Ambrosoli.

Dopo un'altra pena di 12 anni inflitta per frode il 16 febbraio 1985, Michele Sindona fu condannato all'ergastolo per omicidio il 18 marzo 1986. Passarono solo 2 giorni e, nel supercarcere di Voghera dove era detenuto, il 66enne di Patti bevve un caffè al cianuro di potassio entrando in coma. Sindona si spense nell'ospedale di Voghera il 22 marzo 1986. Omicidio o suicidio? Le indagini degli anni seguenti non riuscirono a risolvere il rebus e la morte di uno dei più grandi protagonisti della finanza italiana di quegli anni rimane ancora avvolta nel mistero.

 

 

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