Durante la grande crisi del 2008, le CDO ebbero un'importanza cruciale perché il loro crollo provocò il default di molte banche di investimento e società finanziarie facendo precipitare un intero sistema. In questa guida vedremo nei dettagli in cosa consistono questi strumenti, come vengono gestiti e perché furono al centro del disastro di 17 anni fa.
CDO: definizione e caratteristiche
Le CDO sono prestiti obbligazionari emessi da un'istituzione finanziaria come una banca o una società di assicurazione che cartolarizzano altri asset. In questo, sono molto simili alle asset backed securities (ABS), con la differenza che le CDO sono molto più flessibili in quanto possono includere al proprio interno diverse tipologie di debito. Il sottostante quindi può essere:
- mortgage backed securities (MBS);
- residential mortgage backed securities (RMBS);
- commercial backed securities;
- credit default swaps (CDS);
- asset swaps;
- prestiti sindacati;
- titoli obbligazionari;
- investimenti immobiliari;
- altre CDO.
In sostanza, una CDO impacchetta asset che a loro volta hanno impacchettato altri asset. Il motivo? La diversificazione del rischio. Attraverso una CDO si trasforma un portafoglio di asset con un determinato rating in un portafoglio che comprende tanti portafogli del genere ma che diventa con un rating superiore.
Naturalmente il rendimento medio complessivo del portafoglio originale è superiore rispetto a quello della CDO. Ciò costituisce il guadagno per l'istituto che mette in piedi l'operazione.
Per l'investitore, il minor rendimento di una CDO è compensato da una de-correlazione tra le obbligazioni e quindi dalla diversificazione del rischio. Il problema però è che il meccanismo di valutazione della rischiosità del credito è alquanto oscura e l'investitore deve fidarsi del modello utilizzato dall'istituto che organizza la vendita.
Tipologie di CDO
Esistono essenzialmente due tipologie di CDO che è possibile acquistare:
- CDO statica, in cui il portafoglio sottostante non subisce variazioni rispetto a come è stato definito all'inizio del contratto;
- CDO dinamica, in cui il gestore effettua delle variazioni nel portafoglio a seconda delle condizioni di mercato.
La differenza è che nel secondo caso, oltre a prevedere una commissione maggiore per la gestione, la CDO presenta un rendimento che dipende strettamente dalla bravura del gestore. Ciò introduce un ulteriore elemento di rischio da considerare.
CDO: come avviene la remunerazione
Come per tutti gli asset collateralizzati, la remunerazione per il detentore di CDO avviene in funzione di quanto accade nel portafoglio sottostante di riferimento. In buona sostanza, l'investitore incassa il capitale e gli interessi a seconda dei flussi cedolari e di rimborso delle attività impacchettate. Ad esempio, una CDO su MBS è legato ai pagamenti delle obbligazioni che hanno cartolarizzato i mutui.
A loro volta, i pagamenti di tali obbligazioni si materializzano via via che i mutuatari pagano le loro rate. Essendo che le CDO possono impacchettare anche altre CDO, il processo di pagamento può essere particolarmente farraginoso giacché dipende da tutto quello che succede nella catena dei pagamenti collaterali che si sono venuti a creare.
La grande crisi del 2008
Ma perché le CDO sono state così importanti nella grande crisi dei mutui subprime del 2008? All'epoca, banche di investimento come Goldman Sachs e Deutsche Bank si erano inventate un meccanismo perverso in cui il rischio veniva apparentemente distribuito tra una serie di obbligazioni collateralizzate di rating inferiore, ma senza che effettivamente ci fosse una reale diminuzione dello stesso.
In buona sostanza, gli istituti finanziari avevano preso pacchetti di centinaia di MBS, ognuna delle quali conteneva migliaia di mutui. Dopodiché avevano messo insieme questi pacchetti creando una CDO. L'idea di fondo era che difficilmente sarebbero andati in default tutte le MBS allo stesso tempo, ottenendo così una sorta di redistribuzione del rischio.
Questa mossa ingegnosa aveva però una ragione più opportunistica. Le MBS di rating inferiore - quelle con rating BBB per intenderci - erano molto più difficili da piazzare rispetto a quelle di livello superiore, tipo gli stessi asset a tripla A.
Gettandole tutte in un calderone, però, le agenzie di rating - pagate dalle grandi banche d'affari - avrebbero aumentato il rating proprio in virtù di una teorica e ipotetica minore rischiosità. Quindi, tali strumenti sarebbero stati più vendibili, con un rendimento (e quindi un costo per gli emittenti) più basso.
In altri termini, una banca come Goldman Sachs riuscì a convincere astutamente le agenzie di rating che non si trattava, come era in realtà, delle stesse identiche obbligazioni collateralizzate, ma di un portafoglio diversificato di asset. All'80% di quella categoria di debiti le agenzie diedero un rating AAA.
A quel punto, l'operazione di "lavaggio del credito" era stata compiuta. In questo modo si era creato un gigantesco mercato obbligazionario basato su una montagna di mutui ad alto rischio, con le banche d'investimento che facevano soldi a palate riciclando obbligazioni a tripla B sotto forma di nuove obbligazioni a tripla A.
Alcuni hedge fund compresero il gioco e realizzarono che vi era in atto una
bolla dalle proporzioni immani. Da lì a puntare sullo scoppio della bolla il passo fu breve. Società come
Scion Capital di Michael Burry, FrontPoint Partners di Steve Eisman e Cornwall Capital di Jamie Mai, Charlie Ledley e Ben Hockett usarono la potente arma dei credit default swaps su MBS e CDO per scommettere sul crollo del mercato obbligazionario.
Bastò che la Federal Reserve iniziasse ad alzare i tassi di interesse facendo aumentare i rendimenti dei mutui a tasso variabile che tutta l'industria dei mutui subprime - prestiti concessi a mutuatari di merito creditizio estremamente basso o inesistente - implodesse. Giocoforza, il castello di carta delle obbligazioni cartolarizzate si sgretolò e il sistema economico e finanziario mondiale andò alla deriva.