Il rame sta vivendo un anno da record. Le quotazioni spot sul London Metal Exchange si attestano non lontano dai 12 mila dollari ed il saldo da inizio anno segna un rialzo di poco sotto il +36%. L’ultima accelerazione è stata alimentata dall’ipotesi che Washington possa imporre dazi sulle importazioni di rame raffinato dal 2027. È un’aspettativa che sta spostando fisicamente il metallo.
“Una parte enorme della tensione dipende dalle preoccupazioni sui dazi USA e dai flussi di rame raffinato verso gli Stati Uniti”, avverte Natalie Scott-Gray, senior metals analyst di StoneX, richiamando l’attenzione su ciò che accade fuori dagli USA: l’aspirazione di scorte da altri mercati. I numeri indicano un cambio di marcia: secondo i dati citati da StoneX, gli afflussi di rame raffinato negli Stati Uniti sono aumentati di circa 650.000 tonnellate quest’anno, portando le scorte nel Paese a circa 750 mila tonnellate.
Il differenziale di prezzo fa il resto. Con il rame LME a sconto rispetto ai future COMEX, l’arbitraggio diventa un incentivo potente: spedire rame negli Stati Uniti rende, e questo “pull” stringe l’offerta altrove. Avatar Commodities, con il CEO Andrew Glass, parla apertamente di “nuovi massimi stratosferici”, soprattutto se l’accaparramento fisico statunitense continuerà a erodere la disponibilità internazionale.
Ma lo stesso Glass sottolinea il carattere anomalo della fase: l’attuale rally riflette una “distorsione altamente irregolare”, trainata più dall’anticipo dei dazi che dai fondamentali tradizionali, tanto che - aggiunge - la domanda cinese di rame ha deluso negli ultimi mesi.
Scorte LME sotto pressione: il “mercato di ultima istanza” si svuota
L’effetto collaterale più visibile dei flussi verso gli Stati Uniti è la compressione delle scorte nei luoghi in cui il mercato misura la propria temperatura. Il London Metal Exchange viene spesso definito il “mercato di ultima istanza”: assorbe eccedenze quando la domanda è debole e rilascia metallo quando altrove l’offerta si tende. Per questo i livelli d’inventario LME sono interpretati come barometro della tensione complessiva.
E il barometro segnala tempesta. Recenti dati pubblicati dall’LME indicano scorte attorno a 165.000 tonnellate, con 66.650 tonnellate - circa il 40% - già “marcate” per la consegna. Qui entra in gioco un meccanismo tecnico che, in fasi di stress, diventa importante: una quota crescente delle scorte risulta legata ai cosiddetti canceled warrants, cioè metallo riservato per consegna fisica ad altri acquirenti e quindi, di fatto, non più disponibile per il mercato.
Il risultato è un amplificatore della paura di “squeeze” proprio mentre l’inventario complessivo scende: i livelli risultano di quasi il 40% inferiori rispetto a inizio anno. Quando la liquidità “fisica” si assottiglia, la sensibilità del mercato a ogni notizia - dai dazi alle sorprese produttive - aumenta.
Non a caso Citi introduce un lessico esplicito: secondo gli analisti della banca, i deficit attesi (per vincoli dell’offerta mineraria) e il protrarsi dell’ “hoarding” negli Stati Uniti, alimentato dall’arbitraggio, sono ingredienti destinati a spingere ancora le quotazioni. “Ci aspettiamo che gli Stati Uniti accumulino le scorte globali di rame e, in uno scenario rialzista, attingano ulteriormente a stock ex-USA già impoveriti”, scrive Citi.
Miniere, transizione e AI: perché il 2026 può essere l’anno del picco
Sarebbe però riduttivo leggere tutto come un fenomeno da dazi. Citi inquadra il rally anche in chiave strutturale: domanda più forte grazie a transizione energetica e intelligenza artificiale. Elettrificazione, espansione delle reti e costruzione di data center richiedono grandi quantità di rame per cablaggi, trasmissione di potenza e infrastrutture di raffreddamento. In questo schema, i deficit non sono una parentesi ma una traiettoria, perché l’offerta mineraria resta vincolata e vulnerabile agli stop produttivi.
Anche perchè, come rileva Deutsche Bank, nel 2025 diversi grandi player hanno dovuto ridurre le stime di output. Sulla base dei dati raccolti dalla banca, nell’ultima settimana alcuni produttori chiave hanno aggiornato la guidance tagliando l’output 2026 di circa 300.000 tonnellate. “Nel complesso, vediamo il mercato in chiaro deficit, con l’offerta mineraria più debole nel Q4 2025 e nel Q1 2026”, afferma Deutsche Bank, che colloca il massimo della tensione - e quindi la finestra dei prezzi di picco - nella prima metà del 2026.
Per quanto riguarda la view sui prezzi, Citi vede il rame a 13.000 dollari per tonnellata all’inizio del 2026 e, in un’ipotesi più aggressiva, fino a 15.000 dollari entro il secondo trimestre del prossimo anno.