Le quotazioni del petrolio continuano a crescere in maniera inarrestabile e anche oggi sul mercato delle materie prime fanno segnare rialzi intorno all'1,5%. Il Brent staziona a 112 dollari al barile, dopo che ieri era salito fino a sfiorare i 120 dollari, in scia all'intensificarsi delle tensioni per la guerra Russia-Ucraina. I negoziati di pace non hanno sortito grandi effetti, se non un tiepido accordo sugli aiuti umanitari. Di cessate il fuoco invece nemmeno l'ombra e la situazione comincia a diventare davvero preoccupante con l'attacco alla più grande centrale nucleare europea in Ucraina nelle ultime ore.
Gli investitori accumulano greggio nel loro portafoglio perché temono che questa guerra durerà ancora a lungo, con conseguenze disastrose per quel che riguarda le forniture. Mosca potrebbe interrompere l'offerta da un momento all'altro in segno di ritorsione per le sanzioni imposte dall'Occidente, ma da poco si sta facendo sempre più concreta l'eventualità che gli alleati mettano l'embargo sul petrolio per colpire direttamente la fonte energetica russa. Entrambe le fattispecie produrrebbero il medesimo effetto: un'ulteriore impennata delle quotazioni dell'oro nero.
JP Morgan: petrolio a 185 dollari entro fine anno
L'offerta russa continua a essere interrotta e secondo JP Morgan di questo passo il petrolio potrebbe addirittura arrivare fino a 185 dollari al barile prima della fine del 2022. Per la banca d'affari nel breve termine vi sarà uno shock dell'offerta talmente potente che i prezzi del greggio rimarranno stabilmente a 120 dollari fino a quando non si verifica la distruzione della domanda.
Gli analisti scrivono che vi saranno ramificazioni per le vendite di petrolio russo in Europa e negli Stati Uniti, con un impatto potenziale fino a 4,3 milioni di barili al giorno. Se la situazione non dovesse precipitare ulteriormente e ci fosse un aumento dell'offerta che arriva dall'Iran, JP Morgan mantiene le sue previsioni di 110 dollari per il Brent nel secondo trimestre, di 100 dollari nel terzo e di 90 dollari nel quarto. Vi è invece un aumento delle stime di 5 dollari qualora non si verificasse un ritorno dei barili iraniani sul mercato.
Petrolio: cosa si sta facendo per contenere il rally?
Immaginare un'inversione di tendenza in questo clima estremamente aspro diventa un esercizio davvero complicato. Le più grandi compagnie petrolifere a livello mondiale stanno tagliando i rapporti con la Russia, con BP e Shell che hanno interrotto la partnership con Gazprom e altre come Exxon che si sono aggiunte.
Per frenare lil rally del petrolio i Paesi esportatori dell'OPEC non stanno facendo moltissimo, come dimostra la conferma ampiamente attesa di un incremento di 400 mila barili al giorno dell'offerta a partire dal mese di aprile decisa nella riunione del 2 marzo. Qualche piccolo segnale si è visto con l'accordo da parte degli Stati membri dell'Agenzia Internazionale dell'Energia dove si è concordato il rilascio di 60 milioni di barili dalle scorte strategiche, dei quali il 50% proveniente solo dagli Stati Uniti.
In USA il problema è particolarmente sentito perché vi è un'avversione storica verso il caro benzina che ne consegue dall'aumento dei prezzi del petrolio. Il carburante si trova nei pressi di 4 dollari al gallone e riaffiora lo spettro della crisi del 2008, quando il greggio arrivò al record storico di 147 dollari e la benzina costava 4,12 dollari al gallone.