Le quotazioni del petrolio sono in discesa negli ultimi giorni, con i prezzi del Brent e del WTI che si sono consolidati sotto quota 100 dollari al barile. Il mercato è lontano dalla situazione di alcuni mesi fa, dove il greggio aveva sfiorato i 140 dollari, livello che non si vedeva dal 2008, sospinto dallo scoppio della guerra Russia-Ucraina.
La situazione però è sempre in procinto di deteriorarsi, a causa di una crisi energetica che non lascia tregua e delle diatribe all'interno dell'
OPEC+ in merito alla distribuzione delle quote di produzione.
Ad appesantire il contesto generale in questo momento si aggiungono le turbolenze politiche in Iraq che, a detta di molti analisti, potrebbero rappresentare un rischio rilevante per i mercati dell'oro nero.
Da quando lo sciita musulmano Muqtada al-Sadr ha deciso questa settimana il ritiro dalla politica, nel Paese sono scoppiate proteste che in diversi casi sono sfociate in disordini sociali. Il pericolo è che le lotte tra le fazioni sciite portino ad una riduzione delle forniture di petrolio irachene verso gli altri Stati.
Petrolio: ecco cosa significano i disordini in Iraq
L'Iraq ha una presenza significativa nel mercato petrolifero a livello globale, producendo circa 4,5 milioni barili di petrolio al giorno, e le proprie esportazioni del Paese, secondo i dati forniti da Refinitiv, coprono circa il 3,5% della domanda totale,.
In particolare, i disordini sono concentrati a Baghdad e nel sud del Paese, che esporta dai 3,3 ai 3,4 milioni barili al giorno. Timothy France, analista senior del mercato petrolifero presso Refinitiv, ha affermato che un calo delle consegne di greggio iracheno potrebbero influenzare i mercati di Cina e India, che attualmente sono i principali importatori rispettivamente con 797 mila e 817 mila barili al giorno.
Tuttavia, France sottolinea come i dati sull'esportazione settimanale non mostrino alcun segno di rallentamento. Inoltre, ha aggiunto che "dal 2014, i dati storici sulle esportazioni di Refinitiv non evidenziano gravi interruzioni al basrah Oil Terminal. Durante questo periodo l'Iraq ha probabilmente sopportato minacce alla sicurezza più gravi di quanto non sia oggi".
Secondo Fernando Ferreira, direttore di Rapidan Energy Group, la crisi irachena potrebbe far salire i prezzi del greggio almeno di 5-10 dollari al barile, in quanto "l'attuale ambiente politico è straordinariamente tossico, nonostante di solito la produzione del Paese sia abbastanza resistente ai disordini".
Il caos in Iraq rischia anche di destabilizzare le decisioni dell'OPEC+ nella riunione del 5 settembre, a giudizio di Ferreira. L'esperto sottolinea come i membri del cartello potrebbero essere spinti a rinviare gli aggiustamenti alle quote di produzione, almeno fino a quando la situazione sul fronte geopolitico non si sarà calmata e tutto tornerà alla normalità.