Negli ultimi anni l’azionario emergente non è stato certamente ricco di soddisfazioni per gli investitori. Osservando l’indice Ftse Emerging Market e l’indice Msci Emerging Market ci accorgiamo che a 3 anni la performance total return è praticamente flat. Bene l’America Latina e i mercati di frontiera, meno bene l’Asia. Un gap comunque notevole se consideriamo che gli indici azionari globali negli ultimi 3 anni sono saliti di oltre il 30%.
Ma la spaccatura è particolarmente evidente andando a monitorare i dati dei singoli paesi.
Dal lato negativo rossi importanti si trovano su Cina e Vietnam con cali che superano il 30% nel triennio. All’opposto se guardiamo ai segni positivi appare sbalorditiva la performance della Turchia con un +160% che fa impallidire il comunque importante +40% del Messico e +55% dell’India. Sempre nel drappello dei vincenti da segnalare le buone performance di Indonesia, Arabia Saudita e Taiwan con performance superiori al 30% nell’ultimo triennio.
Mercati emergenti: tutta colpa di Pechino
Già da queste informazioni comprendiamo che in realtà i mercati emergenti non sono andati male. È stata la Cina, il peso massimo quanto a peso percentuale all’interno dell’indice, a zavorrare tutto il comparto.
E infatti, osservando altri due indici ci rendiamo conto di cosa è successo. L’indice Msci ex China a 3 anni realizza un interessante +15% L’indice Msci Emerging Small Cap a 3 anni guadagna il 13% e qui il peso della Cina è inferiore al 5%. (dati al 20 luglio 2024).
La performance migliore del comparto emergente generico è stata ottenuta però da quello stile che tendenzialmente è più difensivo, ovvero dalle azioni ad alto dividendo. L’ETF iShares Emerging Market Dividend replica l’andamento delle 100 società del panorama emergente con il maggiore tasso di dividendo. Ad avvantaggiare questo ETF la composizione geografica che vede il Brasile come peso massimo al 24% di portafoglio, seguito da Cina (20%) e Taiwan (10%).
L’energia e le società legate in generale al mondo delle materie prime rappresentano l’altra peculiarità che ha reso più performante questo ETF. Insieme i due settori rappresentano il 40% dell’intero portafoglio a cui si aggiungono i finanziari con un ulteriore 60%. In sintesi, il mondo emergente ha deluso le aspettative degli investitori nell’ultimo triennio. Su questo ci sono pochi dubbi.
Esistono però delle sorprese positive. Geografiche oppure dipendenti dall’esposizione a certi fattori. L’indice generalista in questo caso è stato penalizzato da una eccessiva esposizione all’azionario cinese confermando come molto più interessante una strategia di diversificazione allargata ad altri temi e stili. Come le piccole capitalizzazioni oppure le società ad alto dividendo. Anche nell’investimento in azionario emergente ha quindi un senso diversificare tra più indici per migliorare l’efficienza del portafoglio.