In Italia sono poco conosciuti perché sostituiti dagli ETF, ma gli index funds sono una realtà storica presente in America dai primi anni ’70 e che possono essere definiti i padri degli attuali ETF con qualche pregio e qualche difetto.
Il più grande index fund del mondo è quello di Vanguard. Il Vanguard Total Stock Market Index Fund supera ormai i 1.300 miliardi di dollari di capitale in gestione e fa riferimento alla società fondata da John Bogle che si crede erroneamente essere il fondatore di questi strumenti.
Fondi indicizzati: ecco la vera storia
In realtà, come lo stesso Bogle sottolineò anni fa, non è così e la data da fissare come origine di questi prodotti non è quella del lancio del fondo di Vanguard nel 1976. Il primo index fund, o meglio la sua idea, è datata 1960. Un economista della California University, Ed Renshaw, pubblicò con uno studente MBA, Paul Feldstein, “The Case for an Unmanaged Investment Company", articolo comparso sul Financial Analysts Journal.
Sbalorditi dal numero impressionante di fondi che stavano crescendo sul mercato nonostante la loro incapacità di battere alcuni indici benchmark come il Dow Jone Industrial Average, i due autori ebbero un’idea che oggi sembra banale ma in realtà non lo era per l'epoca. Se non posso battere il mercato allora vorrei semplicemente un fondo che punta a replicarne la media.
Gli stessi concetti dei costi in grado di azzerare il presunto vantaggio del gestore professionista già in quegli anni vennero portati all’attenzione di un mercato che si voltò dall’altra parte, attratto dai facili guadagni che il risparmio gestito stava producendo.
Nessuno ascoltò Renshaw tranne un autore, John B. Armstrong, che a sua volta pochi mesi dopo riprese quell’articolo in una nuova pubblicazione dedicata all’interessante tema dei fondi non gestiti. Dietro pseudonimo si celava proprio John Bogle che lavorava a sua volta per un fondo a gestione attiva (Wellington Fund).
Per anni covò sotto la cenere un’idea che negli anni ’70 riprese un ingegnere meccanico, tra i primi a sfruttare le potenzialità di elaborazione dati dei computer. John Andrew McQuown lavorava a Wells Fargo negli anni '60, dirigendo il "Progetto decisionale sugli investimenti".
Collaboravano con lui economisti del calibro di Merton, Balck, Scholes e Fama. Durante uno studio sulla performance dei fondi pensione, McQuown cercò di capire se esistesse un modo per creare un fondo passivo che replicasse il mercato. All’interno di un colosso bancario come Wells Fargo si scatenò un dibattito sull’opportunità di creare e soprattutto vendere un prodotto che di fatto replicava semplicemente l'S&P 500.
Nel 1971 arrivò però un finanziatore, Keith Shwayder che, facendo parte della famiglia proprietaria di Samsonite, voleva investire 6 milioni di dollari del patrimonio aziendale in un fondo indicizzato. L’impresa non si rivelò facile e quel fondo embrionale in realtà cercava di seguire le orme del principale indice di Borsa USA con enormi difficoltà e costi.
Stava prendendo già forma l’idea del campionamento statistico, ovvero detenere un numero più limitato di fondi per replicare nella maniera più fedele possibile l’indice principale. All’inizio quell’esperimento si rivelò un mezzo flop, ma arrivarono altri investitori istituzionali come AT&T a rinvigorire un’industria agli albori che piano piano vedeva entrare nuovi attori.
Altri due fondi istituzionali che replicavano l’S&P 500 nacquero in quegli anni fino appunto alla nascita del fondo indice di Vanguard al quale dobbiamo la diffusione su larga scala di quella che, con il senno di poi, si rivelò essere una verità sconvolgente per Wall Street: il mercato nel lungo periodo non poteva essere battuto.