Oggi l'oro vede insidiato il suo primato di bene rifugio per eccellenza dal Bitcoin, la criptovaluta capace oggi di valere 35 once di metallo giallo dopo che solo alla fine di luglio era pari alla metà. Nel 2019 addirittura erano solo 3 le once che servivano per acquistare un BTC.
Un mercato che guarda in prospettiva anche al rialzo dei tassi negli Stati Uniti nel 2022, anticipando ciò che la Fed aveva finora sempre professato, ovvero costo del denaro fermo fino al 2023. Quando i tassi si muovono all’insù è ovvio che il metallo giallo soffra, non essendo un asset dotato di cedola.
Azioni aurifere: ecco perché sono interessanti
Sappiamo però che quando un mercato snobba certi settori azionari, ogni tanto uno sguardo interessato al loro andamento è opportuno. Quanto per capire se e a quali condizioni può essere utile aprire piccole scommesse su un certo settore.
Proprio con riferimento all’oro è evidente il disinteresse totale verso il settore azionario di riferimento, ovvero quello delle azioni aurifere. Lo comprendiamo dalla dinamica dei principali listini. L’indice Xau ad esempio è scivolato ai minimi di aprile 2020, perdendo il 40% dai massimi di agosto.
Ovviamente ha la sua importanza in questo ribasso il valore del metallo giallo, sul quale le aziende minerarie costruiscono il fatturato. Ma nella tempesta perfetta che sta coinvolgendo il comparto aurifero uno zampino ce lo mette pure il costo maggiore per società di questo tipo, ovvero quello dell’energia.
Il petrolio naturalmente è una componente importante di costo per chi deve scavare sotto terra alla ricerca del prezioso. Oggi quindi i titoli del comparto scontano lo scenario peggiore. Oro depresso con prospettive non eccezionali in vista di una politica monetaria più restrittiva, petrolio ai massimi e quindi margini che si restringono per effetto di costi crescenti.
ETF su azioni aurifere: ecco quali sono i migliori
Il grafico ci fa capire dove ci troviamo e ogni investitore deve riflettere su quanto utile sia possedere azioni aurifere in portafoglio. Se la risposta è positiva la domanda successiva è quanto si è disposti a mettere sul piatto in un momento di down trend negativo.
Credo che dopo uno storno del 40% una piccola percentuale del portafoglio possa a questo punto aver senso per cominciare a presidiare il settore. Naturalmente discorso che vale per chi ha capitali sufficienti per adottare un’ampia diversificazione.
Gli ETF disponibili sul mercato italiano sono diversi con VanEck che riveste il ruolo di leader. Due sono gli ETF quotati della casa americana. VanEck Gold Miners e Junior Gold Miners, entrambi con capitalizzazione superiore ai 400 milioni di euro.
La differenza tra i due strumenti è relativa alle dimensioni delle società che compongono l’indice. Large cap come Newont o Barrick Gold nel primo, mid e small cap come Yamana e Pan American nel secondo. Il dato sulla capitalizzazione media di mercato degli strumenti contenuti negli ETF esprime ancora meglio il concetto. Siamo a oltre 17 miliardi di dollari di capitalizzazione media per lo strumento tradizionale contro i 2 miliardi del junior.
Negli ultimi 5 anni le large caps hanno permesso all’investitore di portare a casa un rendimento annuo composto del 2,6% contro il -1,8% delle small caps più volatili. In conclusione possiamo quindi dire che per chi ritiene l’oro prossimo ad un minimo sia possibile sfruttare la ripresa del prezzo anche con una certa leva finanziaria utilizzando strumenti in grado di investire in società del settore. Le large caps appaiono preferibili alle small caps per un rapporto di rischio rendimento che negli ultimi anni sembra essere favorevole alle prime.