Inflazione: chi vince e chi perde in Borsa | Investire.biz

Inflazione: chi vince e chi perde in Borsa

30 apr 2021 - 12:30

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Quali sono i settori che vanno meglio in Borsa in un contesto inflazionistico? E quelli che fanno peggio? Scopriamolo in questo articolo

Il tema dell’inflazione rimane caldo con investitori confusi circa le strategie da adottare per coprire il portafoglio da questo rischio. Gli asset classici sono sempre quelli: materie prime, inflation linked bond e azioni. Ognuno di questi presenta dei pro e dei contro.

Ad esempio le commodity possono essere acquistate tramite ETF, ma l’inefficienza e soprattutto il costo di strumenti che devono subire i rolling periodici dei contratti futures nel lungo periodo annacqua il vantaggio di un potenziale rialzo nel prezzo di questa asset class.

Le obbligazioni inflation linked come i TIPS americani piuttosto che i BTPi italiani, sono un’ottima copertura se portati fino a scadenza, una scelta soggetta alla volatilità dei tassi se selezionati con fondi o ETF a duration costante. Nel lungo periodo le azioni hanno dimostrato di essere lo strumento di hedging migliore. Il potere di modificare i prezzi di beni o servizi in risposta ad un ispessimento dell’inflazione permette agli utili aziendali di alzare uno scudo contro questo rischio.

 

Inflazione: i settori più performanti

La domanda a questo punto è la seguente. Ma quali sono i settori azionari che fanno meglio in un contesto inflazionistico? Premesso che non sempre la storia si ripete nelle stesse forme e che comunque in ogni valutazione l’andamento dei tassi di interesse deciso dalle Banche centrali ha la sua rilevanza, State Street in un suo recente rapporto ha provato a dare una risposta osservando la sensibilità dei settori azionari globali (MSCI World) alle oscillazioni delle aspettative di inflazione. Il risultato ha generato tre settori dove l’inflazione ha avuto un impatto positivo e due dove è risultato negativo.

Energetici, materiali e industriali sono risultati i settori assieme ai consumi discrezionali che hanno tratto maggior beneficio. Utility e consumi di base quelli più sotto pressione. Le compagnie minerarie possono essere quelle che nell’immediato traggono vantaggio da un rally delle materie prime poiché serve tempo, addirittura anni, per aggiustare l’offerta alla domanda oppure con incremento della produzione e dell’esplorazione. Il “pricing power” di queste società è quindi notevole nel momento in cui l’inflazione si impenna (SPDR S&P US Materials Select Sector ISIN IE00BWBXM831).

La correlazione più alta del lotto verso l’inflazione e pari a 0,6 rende il settore energetico un altro candidato per sfruttare a proprio vantaggio un eventuale fiammata dei prezzi al consumo. Uno studio fissa nel 9% il rialzo dello S&P500  Energy Price a fronte di +100 punti base di inflazione. Unico difetto di questo settore quello di un alto beta (ovvero sensibilità) verso l’inflazione a fronte di una volatilità nei prezzi consistente (SPDR MSCI World Energy ISIN IE00BYTRR863).

Per evitare la volatilità ma sfruttare un beta altrettanto elevato rispetto all’inflazione, State Street vede nel settore industriale un altro mondo che gioverebbe di una situazione più movimentata sotto questo aspetto. I primi della catena a soffrire dell’aumento nei prezzi delle commodity, ma anche i più capaci di trasmettere a valle l’incremento dei costi tramite un ritocco dei listini (SPDR S&P US Industrials Select Sector ISIN IE00BWBXM724).

 

Inflazione: ecco i settori da evitare

I due settori che invece sarebbero da evitare o che quanto meno avrebbero una sensibilità all’inflazione minore sono le utility per effetto di un combinato di rialzo probabile dei tassi (e queste società sono tipicamente indebitate) e una limitata capacità di aggiustare le tariffe a causa delle ingerenze statali. Il secondo settore da evitare sarebbero invece i tipici consumi di base come catene di supermercati, società alimentari e prodotti per il benessere della persona.

Poche barriere all’entrata, domanda inelastica e forte competizione impongono margini di guadagno stretti tra costi della materia prima in rialzo e necessità di continua attenzione sui prezzi di vendita vista la capacità del consumatore di passare da un marchio all’altro nella ricerca della convenienza.

 

 

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