Il Giappone ha chiuso l’accordo con l’amministrazione americana sul tema dazi e la Borsa nipponica risponde alla grande trascinata dai titoli automobilistici, con Toyota in testa.
La chiusura della dura ed a tratti estenuante trattativa commerciale con Trump ha portato il paese del Sol Levante ad accettare dazi al 15% sull’export verso gli States, salvando soprattutto quell’industria dell’auto e della componentistica che rischiava grosso da una chiusura delle ricche frontiere americane.
La Borsa giapponese torna così a sorridere e l’ETF di iShares Core che replica l’indice Msci Japan IMI riavvicina i suoi massimi storici dopo aver toccato con estrema precisione la up trend line nel mese di aprile quando la trade war spaventò le borse facendo temere un’inversione nella tendenza dominante.

ETF Giappone: in arrivo un recupero delle perdite?
L’indice giapponese ha come da tradizione una forte componente industriale, quasi un quarto del peso complessivo con forte rappresentatività del settore automobilistico, con la tecnologia che rappresenta solo il 12% superata da beni di consumo e finanziari. Questo spiega, assieme naturalmente al fattore cambio, la sottoperformance degli ultimi anni della Borsa giapponese.
Dall’era Covid nel 2020 la sottoperformance è impressionante. Se l’azionario globale (di cui il Giappone occupa circa un 6%) ha realizzato una performance del 90%, l’azionario giapponese ha raccolto appena la metà. Ancora peggio le small caps giapponesi indietro di altri 10 punti rispetto all’indice che raggruppa tutte le large e mid cap.
Il rapporto prezzo/utili atteso per i prossimi 12 mesi sulla borsa giapponese è contenuto (15), anche se leggermente superiore a quello delle Borse europee ed emergenti (13). Dati in linea con la media storica a 20 anni che chiarisce quanto le borse nipponiche non possono essere considerate né a sconto, né care.
JP Morgan in un recente report ci fa notare anche un aspetto interessante. Dal 2020 la crescita degli utili delle società giapponesi in valuta locale è stata superiore a quella delle azioni europee ed americane. Giusto per chiudere questo discorso le Borse cinesi non hanno visto crescere nell’ultimo lustro gli utili in valuta locale.
Considerando che il peso dell’azionario giapponese supera il 20% negli indici globali ex US è evidente che una buona intonazione di questa area geografica nei prossimi mesi magari combinata da un cambio non più debolissimo, potrebbe offrire alle Borse nipponiche (e agli indici globali depurati dall’America) la possibilità di recuperare almeno una parte di quel terreno perso negli ultimi anni. Un divario che si fa impressionante dal 2009 quando l’ETF è stato quotato. Sono infatti ben 300 i punti percentuali di performance che separano l’azionario globale (+512%) dall’ETF rappresentativo della borsa giapponese.
Se la Borsa giapponese non è destinata ad un rovinoso declino dopo i fasti da bolla speculativa degli anni novanta, da qui potrebbe partire una reazione destinata a durare anni soprattutto se i listini americani non sapranno più essere così schiaccianti nella forza come dimostrato dalla crisi del 2009 ad oggi. E magari la trade war favorirà proprio le sue vittime.