Lo shock del delisting delle azioni russe da tutti i principali indici utilizzati come benchmark degli ETF, ha provocato nelle scorse settimane uno scossone importante sul mercato azionario emergente preso nel suo complesso. Il bilancio annuo è ancora in rosso, con il gap verso le Borse dei Paesi occidentali quasi prossimo ai 20 punti percentuali.
Oltre alle tensioni geopolitiche e al rafforzamento del dollaro insieme al rialzo dei tassi, quello che in questo momento sta facendo più male all’azionario emergente è un generale clima di sfiducia degli investitori verso Stati che in molti casi non sono governati da regimi democratici (ad esempio la Cina e la Turchia) o hanno livelli di garanzia e trasparenza degli investimenti finanziari inferiori agli standard del mondo occidentale.
Fattori non certo sconosciuti, ma la questione russa ha ricordato agli investitori che il premio al rischio richiesto per certe questo tipo di Borse deve essere più alto di quello richiesto finora. Ovviamente il fenomeno “tecnico” legato alla rimozione forzata dei listini di Mosca dai listini emergenti ha inciso direttamente sulle performance.
Rimozione indici russi da ETF su Borse emergenti: quali effetti?
Nella confusione generata dall’invasione russa di fine febbraio anche i factsheet degli ETF hanno in alcuni casi peccato di chiarezza. Ci si chiede come mai ad esempio iShares e Xtrackers abbiano rimosso a fine febbraio la presenza dell’azionario russo dai principali Paesi rappresentati nelle schede mensili, mentre Amundi e Lyxor (anch’essi replicanti l’indice MSCI), annoveravano tra i top country proprio la Russia al 2,2%.
Siccome UBS ha tardato ad aggiornare le sue schede, sappiamo anche che a fine gennaio nell’ETF della casa svizzera le azioni russe contavano per il 3,3%. Ora sono scomparse, ma le perdite su questo fronte potrebbero essere state ingenti per fondi e ETF. Un po' di confusione che comunque non ha cambiato il concetto di fondo.
La rimozione dei panieri di Mosca ha provocato una perdita secca nell’ordine del 2%, a cui si sommano quelle già accumulate in precedenza per la svalutazione della Borsa russa. Vi è poi il clima di generale avversione al rischio che naturalmente ha visto anche l’azionario emergente sotto pressione in previsione di un rallentamento della crescita globale. La Cina, che rappresenta il 40% di un paniere azionario emergente, non crescerà nel 2022 del 5,5%. L'economia dovrebbe avanzare forse di mezzo punto percentuale in meno delle stime, e ciò equivale a prezzi in calo. Quali le prospettive a questo punto?
Indici Paesi emergenti: possibile un ulteriore calo?
Osservando il grafico dell'indice MSCI Emerging Market, non sembrano esserci per il momento grandi possibilità di inversione nella tendenza di breve periodo. La netta rottura della linea di regressione che guida il trend da anni sembra indicare compratori in ritirata, che probabilmente si ripresenteranno in maniera più massiccia nella parte bassa del canale.
Mettere in preventivo un altro calo nell’ordine del 10% potrebbe essere uno scenario non così improbabile. Un ingresso a rischio relativamente più contenuto si riproporrebbe a quel punto per chi volesse ridare un pò di fiducia al un mondo emergente.