L’eterno dilemma dell’investitore in obbligazioni è se meglio preferire i bond a tasso variabile oppure quelli a tasso fisso. I primi ottimi per una fase di tassi crescenti con volatilità ridotta al lumicino, i secondi ideali per fasi di ribasso dei tassi di interesse dove i corsi offrono potenziali plusvalenze.
Ora che la BCE ha già avviato una fase di easing con ripetuti tagli nei tassi, possiamo fare un confronto tra ETF per capire se il fisso è meglio del variabile oppure viceversa. E lo possiamo fare attraversando diverse fasi temporali. Tassi in discesa fino a diventare negativi (fino al 2021), tassi in ascesa (fino al 2024) e poi nuovamente in discesa oggi.
Tassi variabili vs fissi: il confronto
Ho così scelto alcuni ETF che dal 2018 ci permettono di mettere a confronto un investimento uniforme sul perimetro (corporate bond euro ESG), ma con sottostanti titoli a tasso variabile (floater), tasso fisso senza vincoli di duration e fisso con duration breve.
A distanza di 3 e 5 anni, clamoroso risultato, il tasso variabile è vincente. E questa vittoria la ritroviamo anche dal 2018 a oggi. Nel dettaglio i tre ETF analizzati sono Amundi Floating Rates Eur Corporate ESG, iShares Eur Corporate Bond ESG, iShares Eur Corporate bond 0-3 anni ESG.
Tutti ETF con masse superiori al miliardo di euro e con costi inferiori a 0,18% per anno.
Nell’ultimo anno di taglio nel costo del denaro europeo ovviamente il tasso fisso più lungo fa meglio del fisso short e del variabile.
Ma già a distanza di 3 anni, quindi mixando fasi ribassiste e rialziste sui tassi, scopriamo che il variabile ha guadagnato il 9%, il fisso corto l’8%, il fisso con duration il 6%. La botta del 2022 ha lasciato le sue tossine su questi bond.
Ma è a 5 anni che il divario si amplia. Il fisso standard guadagna appena il 3%, il fisso corto ancora l’8%, il variabile oltre il 10%.
Dal 2018 investire in obbligazioni a tasso variabile si conferma una scelta vincente con una performance total return del 8% contro il 5% del tasso fisso ordinario.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. Gli indicatori di rischio come volatilità e massimo drawdown. Perché il variabile non solo fa meglio quanto a performance, ma ha anche una volatilità prossima a zero contro il 3% dell’ETF corporate a tasso fisso. Per quello che riguarda il massimo calo si va dal -4% del floater al +17% dell’ETF corporate standard. Molto più schiacciato verso valori simili al tasso variabile l’ETF con scadenza breve.
Una sorpresa quindi quella che emerge da questa analisi, con l’esposizione al tasso variabile (oppure al limite alle scadenze con brevi durate) che hanno fatto meglio del classico strumento a duration aperta. La sensibilità al rialzo dei tassi di un’obbligazione quando gli stessi tassi erano molto bassi, ancora oggi sta producendo i suoi malefici effetti nonostante il momento positivo. Effetti da ricordare se e quando rivedremo questa situazione sui mercati dei bond.