Le buone idee non sempre incontrano il gradimento del consumatore che nel mondo finanziario si chiama investitore.
Questa frase nasce spontanea dopo l’annuncio di BlackRock di aver intenzione di chiudere due ETF che, nonostante le giustificazioni di facciata della casa americana, non hanno mai raggiunto quei livelli di massa critica utili per rendere profittevole un prodotto finanziario come un ETF che per natura deve essere low cost e lavorare sulle economie di scala.
I due ETF di cui BlackRock ha annunciato la liquidazione delistandoli dal mercato italiano, sono iShares JP Morgan € EM Bond UCITS ETF e iShares FTSE Italia Mid-Small Cap UCITS ETF.
Interessanti, come dicevo all’inizio, perché attivi su due settori che potrebbero avere anche una loro logica nella scelta di investimento di un risparmiatore italiano che vuole diversificare le fonti di rendimento.
Due ETF particolarmente interessanti
Il primo ETF aveva, ormai possiamo parlare al passato, l’obiettivo di replicare l'indice JP Morgan Euro EMBI Global Diversified costituito da obbligazioni governative dei mercati emergenti denominate in Euro. Indice interessante perché di fatto permetteva l’investimento nei bond dei mercati emergenti emessi in euro e non in dollari come per la maggioranza degli ETF. Questo evita il rischio cambio oppure l’onere della copertura (eur hedged) del rischio cambio.
Costo limitato (0,35% annuo), a distribuzione con replica fisica, l’ETF è stato lanciato nel 2021 ma non ha superato i 30 milioni di euro di masse amministrate. Troppo poco dopo tre anni per continuare ad essere mantenuto sul mercato con profittabilità per l’emittente. Peccato, perché l’idea di possedere oltre 200 obbligazioni emergenti in euro non sarebbe stata così sbagliata per completare la componente bond di un portafoglio di investimento.
L’altro ETF che va in archivio è quel iShares FTSE Italia Mid-Small Cap il cui ticker IPIR nasconde proprio la natura di PIR di uno strumento che aveva l’ambizione di affiancarsi ai fondi PIR che erano nati negli anni scorsi sull’onda proprio dei vantaggi fiscali offerti da questi prodotti gestiti. Prodotti destinati a quegli investitori che erano disposti, in cambio della defiscalizzazione degli utili, a mantenere a lungo l’investimento nelle piccole e medie imprese italiane quotate in borsa.
Purtroppo per l’ETF non è mai stato riscontrato un grande successo per il semplice fatto che solo i costosi fondi collocati dalle banche, per una serie di motivi, hanno acquisito lo status effettivo di PIR con relativi vantaggi per l’investitore. Niente da fare per l’ETF.
Quindi l’ETF è rimasto un semplice strumento passivo composto da titoli azionari italiani con capitalizzazione medio bassa incapace di superare i 30 milioni di euro di masse amministrate sul mercato. Anche in questo caso numero insufficiente probabilmente anche alla luce dello sgonfiamento del fenomeno PIR.
Dal lancio questo ultimo ETF ha realizzato una performance del 40%, mentre per l’ETF che investe sui mercati emergenti la performance negativa è stata del 10%. Comunque vada gli investitori non saranno felici. I primi per il capital gain che saranno costretti a pagare in seguito alla liquidazione. I secondi per la perdita che verrà capitalizzata.
Spiacevoli inconvenienti di un fenomeno, quello della chiusura degli ETF, che ogni tanto si riaffaccia e che ci fa capire quanto importante sia valutare con attenzione l’investimento in certi prodotti passivi che hanno già raggiunto una certa maturità in termini di masse amministrate. In caso contrario il rischio è quello di incappare in chiusure che costringono a ridisegnare tutti i piani.