Stiamo assistendo ormai da mesi a una costante opera di arricchimento dell’offerta commerciale dei gestori di ETF con nuovi strumenti a gestione attiva quotati sul mercato anche italiano. Un ETF attivo è un fondo quotato in cui il gestore non si limita a replicare un indice (come avviene negli ETF passivi), ma prende decisioni discrezionali sul portafoglio con l’obiettivo di sovraperformare un benchmark.
L’ETF attivo mantiene quindi la struttura ma con una componente di gestione attiva. Negli ultimi anni, il mercato degli ETF attivi si è sviluppato velocemente per fornire al risparmiatore nuove alternative, ma anche per non condannare all’estinzione i cari vecchi fondi non quotati.
ETF attivi: il vantaggio di costi minori
Rispetto ai fondi comuni attivi gli ETF attivi offrono infatti diversi vantaggi di trasparenza e di carico commissionale (non ci sono fees di uscita, di entrata o di distribuzione), ma soprattutto possono essere scambiati in ogni momento di borse aperte.
Negli Stati Uniti, gli ETF attivi hanno visto una forte crescita negli ultimi anni, specialmente dopo che la SEC ha semplificato il processo regolatorio per il lancio.
Secondo i dati Morningstar, il costo medio degli ETF attivi è di circa lo 0,65% l’anno, il 36% in meno rispetto alla media dei fondi attivi tradizionali. Stiamo parlando del mercato americano ovviamente.
Molti gestori attivi stanno convertendo fondi in ETF o lanciando strategie clone per sfruttare l’efficienza dello strumento ETF. Ma anche la maggiore appetibilità commerciale.
Attenzione a questi fattori
Non sono comunque tutte rose. Un tema emergente negli States è quello degli ETF semi‐trasparenti o non trasparenti, che consentono ai gestori di non rivelare quotidianamente le posizioni, proteggendo le proprie strategie. E poi ci sono i costi nascosti degli ETF attivi
Un recente articolo di Morningstar mette in guardia sul fatto che, anche se le spese correnti degli ETF attivi possono sembrare relativamente basse, i costi reali per l’investitore possono essere significativamente maggiori per via di fattori nascosti come ad esempio:
- Spread bid-ask e costi di transazione. Siccome gli ETF si negoziano sul mercato secondario, c’è una differenza fra prezzo di acquisto e prezzo di vendita che per gli In ETF più piccoli o meno scambiati diventa un fattore non irrilevante anche se soprattutto per chi non ha intenzione di mantenere lo strumento nel lungo periodo. Costo comunque presente anche per gli ETF passivi.
- Slippage. Quando il gestore deve comprare o vendere posizioni poco liquide, la transazione può spostare il prezzo di mercato, generando uno “slippage”. In strategie attive, dove il turnover può essere elevato, questo è un costo reale.
- Rischi di liquidità. Un ETF attivo con pochi asset e volume limitato può essere meno liquido, aggravando i costi di transazione per l’investitore.
- Fenomeno del finto attivismo. A costi commissionali elevati diversi ETF attivi presentano scostamenti modesti dal benchmark. Di recente anche il Financial Times ha fatto emergere diverse critiche sul tema.
Riassumendo, dietro le due parole “ETF attivo” possono nascondersi non solo strategie innovative, ma anche costose etichette di marketing alle quali il risparmiatore dovrebbe prestare grande attenzione per i rischi impliciti che ne derivano. E nella marea di quotazioni viste degli ultimi tempi è inevitabile che l’occasione per cadere nella trappola del sogno gestione attiva è molto presente. Meglio rimanere con la guardia alta e acquistare prodotti trasparenti e comprensibili.