Cina in deflazione, è questa la vera notizia del 2023, non prevista da analisti ed economisti a inizio anno. Contando sulle timide misure di Pechino per rilanciare la crescita, ma soprattutto sulla ripresa post chiusure Covid, il mercato si aspettava un vigore maggiore nella congiuntura economica e dei prezzi, ma nulla di tutto questo è avvenuto, nascondendo un disagio di fondo mischiato all’imbarazzo di autorità politiche che sembrano non desiderose di supportare l’inflazione. Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe successo senza il boom inflazionistico globale del 2022-2023.
Nonostante i dati di agosto abbiano riportato a +0,1% la variazione dei prezzi al consumo dopo il -0,3% di luglio, i prezzi alla produzione continuano a far segnare variazioni negative, a conferma di un proseguimento della dinamica dei prezzi anche per i prossimi mesi. La Cina è entrata in deflazione per la prima volta dal periodo novembre 2020-febbraio 2021, ma quello fu causato dal Covid, in questo caso le cause appaiono un po' più complesse.
Asset cinesi in forte difficoltà
Le conseguenze sugli asset cinesi si fanno sentire. Il cambio USD/CNY continua a rimanere a ridosso di quella zona di prezzo 7,2/7,3 che rappresenta il punto di minimo dal 2008. I tassi sono scesi con uno spread rispetto ai Treasury americani passato dai 250 punti base positivi ai 170 punti base di deficit oggi. Evidente che l’appeal della carta cinese è molto scarso.
L’azionario, che dovrebbe beneficiare di questa fase di easing monetario, in realtà non sta regalando grandi soddisfazioni. Il motivo si chiama tassi reali che, con la deflazione, paradossalmente risalgono. Gli indici MSCI China negli ultimi 12 mesi pagano dazio con un ribasso del 10% (dati al 15 settembre 2023). In linea con i cali anche l’indice CSI 300 replicato dall’ETF di Xtrackers la cui capitalizzazione tocca i 2,5 miliardi di euro (XTRACKERS CSI300 SWAP UCITS ETF).
Altro ETF maxi che ha raccolto tanti capitali negli ultimi anni è quello di iShares che investe sui bond in valuta locale (iShares China Cny Bond). E anche qui la performance, a causa della svalutazione dello yuan, fa segnare un pesante -8% in linea con il mercato azionario. Facile individuare il risultato di un investimento bilanciato, decisamente deludente in un contesto di generale repricing degli asset soprattutto più volatili a livello globale.
Come mostra il grafico di iShares China Bond, ogni rimbalzo è una buona occasione per vendere l’ETF. L'ultimo tentativo appare il più convinto, ma solo un risveglio sopra il prezzo di 4,8 potrebbe riportare un po' di appetito tra gli investitori.
Con un rendimento a scadenza di poco superiore al 2,5% (come un Bund tedesco) con un costo di 0,35% annui e una duration di 6, si fatica a trovare interesse per uno strumento che dovrà contare quasi esclusivamente conto sulla rivalutazione dello yuan per offrire una prospettiva interessante di guadagno nei prossimi anni.