Perché un investitore dovrebbe restare investito in un ETF che costa il doppio o addirittura il triplo di un prodotto esattamente identico ma lanciato sul mercato qualche anno dopo?
Sono sul mercato alcuni ETF di iShares, Amundi e DWS con masse amministrate importanti ma anche con costi elevati. Costi che in alcuni casi triplicano le spese correnti di ETF che le stesse case di investimento hanno quotato anni dopo e che svolgono lo stesso identico lavoro di replica del medesimo indice.
Il caso forse più eclatante è quello di iShares Msci World (IWRD). Lanciato nel 2005, BlackRock lo acquistò da Barclays durante la crisi immobiliare del 2008 e che ancora oggi ha masse per oltre 7 miliardi di dollari. Le spese correnti di questo ETF sono dello 0,5%. La stessa iShares ha nel suo catalogo un ETF che replica lo stesso indice azionario mondiale lanciato nel 2009, con masse amministrate oggi di oltre 81 miliardi di dollari e con spese correnti che sono però di solo 0,2% all’anno.
Nello stesso campo di azione, ovvero quello dell’azionario globale, Amundi nel 2024 ha quotato un ETF dai costi molto bassi (0,12%) pur avendo sul mercato un ETF datato 2009 (MWRD) con quasi 5 miliardi di dollari di masse amministrate ma costi tripli rispetto al nuovo prodotto.
Mossa analoga è stata portata avanti nel 2022 da DWS Xtrackers lanciando un ETF che replica in maniera sintetica l’indice americano S&P500 (Xtrackers S&P500 Swap) con un costo di appena 6 punti base. Le masse hanno raggiunto in meno di due anni i 10 miliardi di dollari, lo stesso numero che ritroviamo nello “storico” (XSPU) quotato dal 2010.
Perché gli investitori mantengono ETF costosi?
Perché gli investitori mantengono in portafoglio ETF così datati e costosi può trovare un fondamento logico se la scelta è spiegata da motivazioni economiche. I costi di intermediazione da sostenere per vendere uno strumento che in tanti anni è cresciuto a tripla cifra percentuale sono alti. Ma anche fiscalmente, in Italia lo sappiamo bene, possono sorgere problemi non indifferenti nel vendere in guadagno prodotti con tassazione sugli utili del 26%.
Arbitraggiare un investimento per passare ad uno analogo con costi più bassi, ma sostenendo uscite importanti in termini di costi e tasse da pagare, è un fattore di freno per l’investitore. Scelta che si rivela gradita alle società di gestione che pur facendo lo stesso lavoro hanno marginalità molto più alte.
Ma a fianco di queste opportune valutazioni di convenienza ce ne sono anche altre che più banalmente si legano alla pigrizia dell’investitore medio.
Pigrizia che lo porta spesso a dimenticare di fare tagliandi regolari al proprio portafoglio stratificando prodotti su prodotti e dimenticandosi di verificare costi ed efficienza. Si spera che articoli come questo possano indurre a qualche riflessione aggiuntiva.