Il Coffehouse Portfolio rappresenta l’ennesima declinazione in asset allocation di una serie di asset class che cercano di aggiungere al classico rischio di mercato generalista azionario, tradizionalmente l’indice di riferimento come può essere lo S&P500, anche dei fattori di stile in grado di offrire qualche decimale di premio per il rischio aggiuntivo a quella che è l’aspettativa di rendimento già inclusa nelle attuali quotazioni dell’indice principale.
Già analizzato in passato ( Coffeehouse Portfolio, alla ricerca dello stile), il Coffeehouse Portfolio è stato creato da Bill Schultheis, co fondatore di Soundmark Wealth Management, e si tratta di un portafoglio al 60% azionario che gioca molto sul fattore di rischio legato allo stile.
L’asset allocation del Coffeehouse è composta da 7 asset class:
- 10% Azionario America Large Cap Blend;
- 10% Azionario America Large Cap Value;
- 10% Azionario America Small Cap Blend;
- 10% Azionario America Small Cap Value;
- 10% Azionario Internazionale;
- 40% Treasury Medio Termine;
- 10% REITs.
Come spesso sono solito fare in questi casi, mi piace calare nella realtà dell’investitore europeo questa tipica asset allocation creata per gli investitori americani. E per fare questo utilizzo ETF quotati sulle borse del Vecchio Continente con una diversificazione globale e non americanocentrica.
Sulla base di queste considerazioni ho poi deciso di creare un backtest a 10 anni e confrontarlo con un tipico portafoglio bilanciato 60/40 per capire come si è mosso il Coffeehouse in termini di rischio e rendimento.
Coffeehouse Portfolio vs bilanciato: i risultati del confronto
La sentenza del backtest sembra essere abbastanza impietosa per il Coffeehouse, o meglio non sembra emergere un valore aggiunto nell’investire con questa asset allocation.
Dopo 10 anni un 60/40 composto da un ETF che investe nell’azionario globale e un ETF che investe nell’obbligazionario globale governativo, ha ottenuto lo stesso rendimento annuo composto del Coffehouse ben più diversificato.
I 100 mila euro investiti a fine 2012 nel 60/40 sono diventati 192 mila mentre per il Coffeehouse sono diventati 190 mila. La differenza sono 15 punti base di rendimento annuo a favore del bilanciato che ha rischiato meno. La volatilità annua del 60/40 è risultata infatti dell'8,6% contro il 9,3% del Coffeehouse che quindi mostra un profilo di rapporto tra rischio e rendimento peggiore.
A differenza di altri portafogli, anche in termini di massimi drawdown c’è una forte analogia (2022 compreso) con il bilanciato 60/40 confermando che, situazioni di mercato di crescita abbastanza importante degli investimenti interrotta da un paio di bear market, impediscono al Coffehouse di sprigionare quella differenza di rendimento (il famoso premio per il rischio) che value, small caps e Reits dovrebbero garantire.
In conclusione possiamo quindi dire che il Coffehouse sposa la teoria del vantaggio fattoriale che certe asset class, sulla base delle ricerche accademiche del passato, dovrebbero garantire all’investitore. L’ambiente degli ultimi 10 anni non ha però confermato queste indicazioni, ma per chi crede nella validità dei celebri studi di Fama e French sui vantaggi degli investimenti fattoriali può vedere in questo portafoglio sicuramente un’opzione interessante.