Crolla la Borsa russa: nel giorno dell'invasione dell'Ucraina, a Mosca gli indici hanno fatto segnare perdite nell'ordine dei 40 punti percetuali. Le perdite di oggi si sommano a quelle patite nelle ultime quattro settimana, periodo nel quale la Borsa russa aveva già perso il 40% del suo valore tornando ai livelli di novembre 2020. Di fatto già prima di oggi era stato azzerato l’enorme vantaggio che il notevole balzo all’insù nel prezzo del petrolio gli aveva dato.
Peccato che il rialzo del greggio dell’ultimo mese non sia stato causato da una crescita della domanda per effetto di un’economia mondiale in salute, ma proprio dallo stato di tensione bellica che la stessa Russia ha creato attorno all’Ucraina. Le vicende sono note e non starò a ripetermi in questa sede. Putin ha giustificato nei ricorsi storici l’appartenenza dell’Ucraina alla Russia. Il Donbass è solamente un pretesto per allargare i propri confini riprendendo ciò che apparteneva all’Unione Sovietica.
Il mondo occidentale sfibrato dalla pandemia e incapace di sostenere in questo momento una dispendiosa guerra ha cercato la strada della diplomazia. Visti i precedenti in Crimea difficilmente avrà successo e l'avvio delle operazioni militari russe ne è la conferma. Dopo il riconoscimento da parte di Putin dell’indipendenza del Donbass la Borsa di Mosca è precipitata con una perdita in doppia cifra percentuale. Altro giro di vite con l'ingresso dei carri armati russi dentro al confine ucraino.
Il grafico ci fa vedere come in quattro settimane la fuga degli investitori dall’indice RTS è stata continua. La speranza per chi ha investito su questo mercato è che la linea di tendenza che dal 1998 guida il tormentato bull market, regga all’urto ribassista. Non siamo lontani e se anche uno sfondamento temporaneo me lo attendo come nel 2015 e nel 2020, l’area posta sotto quota 1000 potrebbe tornare interessante per accumulare azionario russo sempre in chiave tattica.
I rischi sono tanti. Dalla svalutazione del rublo fino alle nuove sanzioni economiche che inevitabilmente il mondo occidentale imporrà alle aziende russe.
Il capitombolo dell’indice RTS è l’ennesima dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che i fondamentali sottovalutati non sempre sono garanzia di successo nell’investimento soprattutto quando non consideriamo il fattore chiave della diversificazione. Da tempo la Borsa russa vanta fondamentali da super value. Ma quando di fronte non si ha una democrazia e un sistema finanziario trasparente e garantito (come in Cina) questi numeri contano fino a un certo punto.
Con la recente caduta il rapporto prezzo utili della borsa di Mosca è sceso a 9 (in teoria nove anni di utili ripagano l’investimento) con un rapporto dividend yield del 8%, di poco inferiore ai tassi di interesse che ritroviamo sui bond russi sui quali ovviamente il livello di rischio percepito è salito notevolmente.
Per i più coraggiosi questa volatilità può quindi essere anche un’opportunità. A Milano sono quotati diversi ETF con sottostante indici russi. Il più capitalizzato è quello di Lyxor (Lyxor MSCI Russia UCITS ETF ISIN LU1923627092) quotato però solo dal 2019. Con una storia maggiore l’ETF di iShares (iShares MSCI Russia ADR/GDR ISIN IE00B5V87390).
Acquistare l’indice MSCI Russia significa acquistare Gazprom che pesa per quasi il 25% del portafoglio, ma anche Lukoil e Sberbank che pesano rispettivamente il 17% e il 15%. Energia e finanza quindi con un peso della prima addirittura del 60%.
Ma la borsa russa negli ultimi 10 anni è andata meglio o peggio dell’indice emergente preso nel suo complesso? Peggio e decisamente. Dispongo solamente dei dati ufficiali di MSCI alla fine di gennaio (e quindi non incorporano il crollo), ma l’indice MSCI in dollari Usa ha raccolto un misero 2,6% di rendimento annuo composto nell’ultima decade rispetto al 4% di un indice emergente e del 10% di un indice All Country World.
Ennesima conferma che prezzi bassi in Borsa non sempre significano grandi occasioni di profitto, soprattutto quando la diversificazione dell’investimento è praticamente assente.