Investire sui mercati emergenti con ETF sembra presentare un problema sempre maggiore di diversificazione visto il peso crescente che la Cina sta assumendo all’interno del paniere di titoli sui quali investe chi vuole replicare un generico indice MSCI Emerging Market.
Avevo già illustrato le qualità dell’ETF commercializzato nel 2019 da Lyxor (ISIN LU2009202107) in un precedente articolo, ma la differenza tra investire con e senza la Cina è sempre più stridente. Negli ultimi 12 mesi alla data del 31 maggio, investire nell’indice MSCI Emerging Market ha ritornato il 35% di performance. Escludendo la Cina, lo stesso indice ha offerto un rendimento superiore di oltre 7 punti percentuali.
La società di consulenza GMO ha pubblicato ad aprile un interessante rapporto nel quale vengono evidenziate le principali differenze. La Cina è la seconda economia del mondo e naturalmente la sua crescita economica e finanziaria “costringe” i provider a rivedere continuamente i pesi degli indici di mercato.
Un primo impatto nell’esclusione della Cina da un paniere generalista di azionari emergenti è il passaggio da 4 a 2 società dominanti all’interno dell’indice. Questo lo si nota in particolare osservando il peso delle società fuori dalle top five simile per entrambi gli indici. La vera differenza risiede nel numero delle società facenti parte dell’indice che crolla in modo verticale se passiamo dal generico (circa 1400) all’ex China (circa 700).
Ovviamente altro fattore critico è quello della composizione geografica degli indici. La Cina pesa per circa il 40%, quasi il triplo di Taiwan e Corea del Sud che assumono invece un peso decisamente più importante nell’indice ex China, quasi un quarto del portafoglio.
La concentrazione settoriale aumenta escludendo la Cina visto che Corea e Cina sono molto specializzate nel settore IT. In questo caso il peso di portafoglio del settore tecnologico sale da 21% a 31% nel MSCI ex-China. Neutralità invece emerge dalla presenza o meno della Cina a livello di stile di investimento value, blend e growth.
Un fattore sul quale invece GMO precisa che c’è una forte distorsione togliendo la Cina è quella del fattore liquidità che perde quasi la metà della sua capacità rimuovendo la Cina. Elemento questo che nei momenti di tensioni finanziarie potrebbe fare la differenza.
Potremmo poi essere portati a pensare che comunque le economie regionali sono un surrogato dell’economia cinese. In realtà la correlazione tra Cina e gli altri Paesi dell’area fluttuano tra 0.4 e 0.6, arrivando a 0.7 per Corea e Taiwan. Il fattore decorrelante cinese nell’indice generico effettivamente esiste.
Sintetizzando possiamo quindi dire che scorporare la Cina da un investimento in mercati emergenti alimenta il contenuto speculativo dell’investimento a discapito del fattore liquidità con una più elevata concentrazione settoriale sul settore tech.
Pur aumentando la frammentazione geografica (ma neanche più di tanto) non sembra che investire in questo momento in un paniere di azioni escludendo la Cina possa offrire dei consistenti vantaggi in termini di rapporto rischio rendimento.