I mercati danno per scontate nuove manovre di riduzione del costo del denaro negli Stati Uniti, con la Fed che deve tenere in considerazione un rallentamento evidente dell’occupazione, pur senza ignorare che l’inflazione che fatica a convergere verso il 2% spinge Powell, e buona parte del FOMC, ad essere più prudenti di quello che vorrebbe Trump. Ma fra qualche mese Powell verrà sostituito e il suo successore adotterà probabilmente un approccio più "dovish".
Se c’è una asset class che ha subito negativamente questa fase di aumento dei tassi di interesse post Covid quella è sicuramente quella dei REITS (Real Estate Investment Trusts). Gli ETF che replicano indici tipicamente associati alle dinamiche del mercato immobiliare negli ultimi 5 anni a livello globale hanno guadagnato un quarto dell’azionario nel quale i REITS pesano per meno del 3% della capitalizzazione complessiva.
Mercato immobiliare paga dazio ai tassi elevati
La sottoperformance appare logica. Quando i tassi salgono, imprese e soprattutto consumatori limitano la domanda di prestiti e mutui, rallentando di conseguenza la domanda di immobili nuovi e non sia ad uso residenziale che commerciale.
Anche i dati delle compravendite certificano che, fatta eccezione per i data center, negli Stati Uniti e in Europa il settore commerciale residenziale ha perso vigore nel momento in cui le Banche centrali hanno aumentato il costo del denaro.
Anche nel 2025 però l’asset class alternativa collegata al real estate si sta muovendo in divergenza rispetto al mercato nel suo complesso, quasi a far pensare a una crisi strutturale di sistema oppure alla necessità di tassi molto più bassi per riaccendere l’interesse degli investitori.
Può essere utile ricordare che i REITS sono società veicolo che possiedono immobili di ogni tipo. La loro quotazione permette agli investitori di sfruttare i guadagni del business real estate senza l’onere di possedere e gestire singoli immobili con tutte le incombenze e i costi conseguenti. Società che devono però soddisfare alcuni requisiti legislativi ben precisi come, ad esempio, la distribuzione di almeno il 90% del proprio reddito sotto forma di dividendi. Regole che coinvolgono buona parte dei paesi a livello globale ma non tutti. Ad esempio, nell’indice Ftse Epra Nareit solo la metà dei paesi partecipanti ha una legislazione specifica.
Performance REITS: non è solo colpa del dollaro
L’ETF di Amundi Ftse Epra Nareit Global negli ultimi 5 anni ha raccolto una performance del 22% mentre nell’ultimo anno il saldo è addirittura negativo.
Investendo nel settore dei REITS e delle società immobiliari globali l’effetto dollaro ha le sue responsabilità, ma solo in parte. Gli Stati Uniti pesano per oltre il 60% del paniere di titoli, seguiti da Giappone con il 10% e Australia con il 6%. Poi Paesi con pesi inferiori al 3%. I primi 10 titoli di un paniere composto da oltre 350 società occupano un terzo del portafoglio con Welltower e Prologis che condividono le prime due posizioni con un peso del 6% a testa.

Graficamente l’ETF ad accumulazione dei dividendi mostra tutte le incertezze di un settore ancora incapace di recuperare i massimi del 2022. Solo l’uscita dei prezzi dalla parte alta del range segnalerà l’opportunità di credere un po' di più in questa asset class obiettivamente deludente negli ultimi anni, ma che in passato ha sempre rivestito un ruolo decorrelante all’interno di un portafoglio ben diversificato.