Tre settori potrebbero essere entrati in una bolla speculativa simile a quella della tecnologia di fine millennio?
Questa è la domanda che si è posta la società finanziaria di ricerca canadese BCA Research confrontando l’andamento delle dot com di internet del tempo con quello delle società collegate all’universo terre rare, nucleare e ultima in ordine di tempo quantum computing. Il motivo è da ricercare nell’improvviso crollo di prezzi dopo un altrettanto generoso rimbalzo, delle ultime settimane. Un comportamento che ha ricordato i primi segnali di bolla sulla tecnologia di inizio secolo.
ETF Terre rare, Nucleare e Quantum Computing: cosa succede
Fatta eccezione per il Quantum Computing, che solo da qualche mese ha fatto la sua comparsa sotto forma di ETF tematico, gli altri due temi sono già disponibili da tempo nelle offerte commerciali di alcune case di investimento. VanEck è una di queste.
A maggio ha lanciato l’ETF VanEck Quantum Computing, ma da alcuni anni VanEck Uranium and Nuclear Tech e VanEck Rare Earth and Strategic Metals arricchiscono una gamma molto varia permettendo agli investitori di cavalcare alcuni dei temi che in futuro potrebbero attrarre capitali e interessi. Si spera accompagnati da importanti rialzi di prezzo.
Solo da inizio anno l’ETF che investe nel settore nucleare ha guadagnato l’87%, addirittura oltre il 117% negli ultimi sei mesi. Performance stellari anche per l’ETF sulle terre rare balzato del 80% in un semestre.
L’alternativa rinnovabile, forse l’unica, alle tecnologie green solare e eolico sembra ormai diventata il nucleare. La domanda di uranio è aumentata come il suo prezzo e l’interesse di paesi come la Cina stanno muovendo un mercato che sembrava destinato all’emarginazione negli anni scorsi, quando erano proprio le energie rinnovabili verdi più tradizionali a occupare le agende governative e i sogni degli investitori.
Per le terre rare le ultime vicende Cina – Stati Uniti hanno riacceso l’interesse verso minerali scarsi e molto concentrati a livello geografico, il che li rende cruciali per le industrie soprattutto tecnologiche.
Questi due ETF hanno tipici costi da tematico (0,6%), ma anche volatilità come dimostra il dato annuale superiore al 30%.
ETF tematici: poca diversificazione ma valutazioni contenute
Per questi ETF, lo sappiamo, il grande limite è l’assenza di diversificazione. Andando sulle terre rare di cui riporto anche un grafico di prezzo che dimostra quanto poderoso sia stato il recente break rialzista, sono poco più di una ventina le società presente nel paniere titoli. Cina, Stati Uniti e Australia fanno la parte del leone e con le prime 10 società che occupano due terzi dell’ETF.

A dire il vero qui le valutazioni non ci sembrano così da bolla. Il rapporto prezzo utili di 28 e il valore di libro di 2 non rappresentano infatti eccessi preoccupanti. Almeno utilizzando queste metriche.
Lo stesso si può dire per l’altro ETF che investe nel settore uranio-nucleare. Il rapporto prezzo utili delle 28 società presenti è mediamente di 30, con un rapporto prezzo valore contabile di 3,4.
Anche qui Stati Uniti, Canada e Giappone occupano quasi il 90% del portafoglio a livello geografico con le prime 10 società che cubano per il 70%.
Se siamo agli albori di una bolla pronta per scoppiare oppure in una fase di transizione dei prezzi che necessitano di rifiatare lo scopriremo. Certamente questi tre temi hanno fatto felici gli investitori che nel 2025 hanno scommesso su di essi e ora si interrogano se non sia il caso di portare a casa i profitti. Come sempre i prossimi mesi emetteranno la loro sentenza.