La storia che lega Warren Buffett a Coca-Cola è come una delle grandi amicizie che nascono dall'infanzia. Era un ragazzino di appena 6 anni quello che comprava un lotto di 6 lattine a 25 centesimi dal negozietto del nonno per rivenderle singolarmente a 5 centesimi l'una ottenendo un rendimento del 20%. Per tutta la sua vita Buffett ha amato mangiare al McDonald's nonostante fosse ultra miliardario e nel contempo ha sempre affermato di aver bevuto una quantità innumerevole di Coca-Cola. Una bibita, questa, che nessuno mai è riuscito a riproporre ottenendo lo stesso successo.
Tuttavia, il re del value investing ha osservato per moltissimi anni l'azienda e solo nel 1988 ha comprato le azioni. In qualche occasione Buffett ha ammesso di aver esitato per troppo tempo prima di lanciarsi, ma come vedremo Coca-Cola è stato uno degli investimenti più redditizi che il guru della finanza abbia mai fatto e uno dei quelli di cui è andato più fiero.
Warren Buffett: l'acquisto di Coca-Cola
Era l'autunno del 1988 quando in Borsa si registrava uno strano movimento sulle azioni Coca-Cola. Il prezzo aveva toccato il fondo, tramortito da quanto accadde un anno prima con il crash del lunedì nero del 19 ottobre (
19 ottobre 1987: 33 anni dal Lunedì nero di Wall Street). Ora stava risalendo perché un misterioso compratore rastrellava azioni sul mercato a buon prezzo. Il presidente dell'azienda
Donald Keough fece delle indagini e arrivò a scoprire chi era il grande investitore che stava facendo incetta di titoli alimentando il rialzo delle quotazioni: si trattava ovviamente di Warren Buffett.
Così Keough, che aveva un rapporto di amicizia con Buffett, lo chiamò al telefono per accertarsi della cosa. Dopo un attimo di silenzio, l'oracolo di Omaha confermò, ma pregò il suo interlocutore di non far sapere nulla per evitare che il prezzo si impennasse costringendolo a comprare a livelli più alti. Solo nella primavera del 1989 si conobbero i dettagli dell'operazione della Berkshire Hathaway, il conglomerato finanziario di Warren Buffett. La società aveva acquistato una quota del 7% di Coca-Cola investendo ben 1,02 miliardi di dollari. Fino a quel momento l'enorme impegno di denaro era il più grande mai fatto da Buffett e corrispondeva a un terzo del portafoglio di Berkshire.
Warren Buffett: cosa lo spinse a comprare Coca-Cola
Abbiamo visto come Buffett avesse sempre amato l'azienda, ma anche di come abbia aspettato molti anni prima di fare il primo passo. Ora però si era spinto molto oltre, comprando le azioni a un prezzo di 5 volte il loro valore nominale, di oltre 15 volte gli utili (+30% la media di mercato) e di 12 volte la liquidità (+50% la media del mercato). Questo nonostante il calo delle quotazioni. Gli esperti di mercato si interrogarono allora circa i motivi per cui il re di Wall Street valutava così tanto il titolo del colosso delle bevande che aveva una storia vecchia di un secolo e quindi non era neppure una società appartenente alle aziende in grande crescita come quelle tecnologiche. Per trovare risposta alle perplessità di investitori e analisti bisognava richiamare i criteri fondamentali seguiti da Buffett nella valutazione di un'azienda, ovvero: di business, di management, finanziari e di mercato. E l'acquisto di Coca-Cola li rispettava tutti. Vediamo nel dettaglio.
Il criterio di business implica un'attività semplice e comprensibile, una storia operativa coerente e una prospettiva di lungo termine favorevole. Buffett è stato sempre impressionato di come l'attività di Coca-Cola sia estremamente semplice, con la produzione di un concentrato ceduto agli imbottigliatori che lo combinano con altri ingredienti e poi vendono il prodotto finito a negozi, supermercati, ristoranti, catene di fast-food e distributori automatici. Il prodotto non è un bene indifferenziato, altra condizione importante affinché Buffett acquisti le azioni di un'azienda. Riguardo la storia coerente di Coca-Cola, da quando ha iniziato l'attività nel 1886 a oggi l'azienda commercializza lo stesso prodotto esteso nel tempo in termini di quantità e territorio geografico. Oltre a tale prodotto, Coca-Cola vende anche altre bevande come aromi frizzanti, caffè e tè, succhi di frutta, latticini e bevande a base vegetale. I marchi attraverso cui opera sono Coca-Cola, Sprite, Fanta, Diet Coke e Coca-Cola Zero Sugar. Buffett vedeva in Coca-Cola anche prospettive di lungo termine favorevoli per via di alcuni cambiamenti adottati negli anni '80 dall'amministratore delegato Roberto Goizueta e dal presidente Donald Keough. In sostanza, l'azienda diventò propositiva, tagliando i costi e imponendo in qualsiasi attività l'ottimizzazione degli utili in proporzione agli asset. Queste iniziative si tradussero in un aumento dei margini di profitto.
Il criterio di management consiste nel fatto che la direzione aziendale agisca con razionalità e trasparenza e resista all'imperativo istituzionale, ossia alla tendenza generale di seguire quello che fanno gli altri manager del settore. Nella fattispecie di Coca-Cola, Goizueta agiva con razionalità nella trasformazione avviata, in particolare con la concentrazione degli utili agli azionisti. Inoltre, puntare su un business mono-prodotto quando gli altri nel settore stavano facendo l'esatto contrario fu una chiara dimostrazione di come l'azienda riusciva a resistere all'imperativo istituzionale. Goizueta infatti si liberò di tutte le attività che non erano legate al core business, costituito dalla vendita di beveraggi.
Il criterio finanziario e quello di mercato si basano sulla determinazione del reale valore dell'azienda e sul confronto con quello risultante dalla quotazione in Borsa. Le azioni vanno quindi acquistate se il primo supera il secondo al punto da costituire un adeguato margine di sicurezza. Per calcolare il valore dell'azienda bisogna partire dall'owner earning - utile netto aumentato da ammortamenti e svalutazioni e diminuito delle spese in conto capitale - rapportato al rendimento dei buoni del Tesoro USA di lungo termine. Nel 1973 l'owner earning di Coca-Cola era di 152 milioni, salito a 262 milioni nel 1980 e a 828 milioni nel 1988 quando Buffett acquistò le azioni. Dividendo l'owner earning del 1988 al tasso trentennale dei titoli di Stato americani allora del 9%, si arrivava a un valore intrinseco di 9,2 miliardi di dollari. Secondo le stime del leggendario investitore però si configuravano diversi scenari: con una crescita annua del 5% dell'owner earning, il valore della società arrivava a 20,7 miliardi di dollari; con una crescita del 10% per 10 anni e poi del 5% del parametro, il valore intrinseco giungeva a 32,4 miliardi di dollari; con una crescita del 12% per 10 anni e poi al 5% dell'owner earning, il valore dell'azienda risultava di 38,1 miliardi di dollari. Durante il periodo in cui Buffett ha acquistato le azioni Coca-Cola, il valore medio di mercato era di 15,1 miliardi di dollari. Questo significava che nell'ipotesi più prudente, il margine di sicurezza - differenza tra valore intrinseco e valore di mercato - sarebbe risultato del 27%, mentre nello scenario più positivo, tale margine sarebbe stato del 70%.
Come è andato l'investimento
Nell'arco di un decennio, il valore di mercato di Coca-Cola era cresciuto da 25,8 a 143 miliardi di dollari. In quel periodo la società produsse utili per 26,9 miliardi di dollari, dei quali 10,5 miliardi distribuiti agli azionisti e 16,4 miliardi reinvestiti nell'attività aziendale. Coca-Cola è ancora nel portafoglio della Berkshire Hathaway e oggi ha una capitalizzazione di quasi 300 miliardi di dollari.
Buffett difficilmente venderà le
azioni Coca-Cola, sia per una questione di rapporto affettivo che ha con l'azienda, sia soprattutto per una stima smisurata che nutre verso di essa. Egli ha sempre sostenuto che un'azione può essere tenuta in portafoglio per sempre se la società non dà segni di deterioramento del business.
Coca-Cola poi è una di quelle entità che intorno a sé ha costruito un fossato, ossia un luogo che rende inavvicinabile la concorrenza perché l'azienda produce un bene su cui altri non possono competere.