Wall Street ha chiuso in calo, zavorrata dal sell‑off sulle banche regionali USA e da un ritorno delle tensioni commerciali con Pechino: lo S&P 500 ha terminato in rosso dello 0,63%, il Nasdaq ha lasciato sul campo lo 0,47% ed il Dow Jones ha segnato un -0,65%, con 10 settori su 11 in rosso e i finanziari in coda con un -2,75%. L’attività è stata sostenuta (22,4 miliardi di azioni scambiate) e l’aria di “risk‑off” ha contagiato anche i big.
Il comparto delle banche regionali USA ha evidenziato un tracollo: l’S&P Regional Banks Select Industry Index è sceso del 6,3%, peggior seduta dalla correzione di aprile e doloroso richiamo alla crisi del 2023. Il mercato ha reagito a due scintille precise: Zions Bancorp e Western Alliance hanno segnalato perdite legate a prestiti verso fondi esposti a mutui commerciali distressed e a una posizione oggetto di frode, precipitando in Borsa di oltre il 10%.
Una misura efficace del nervosismo degli investitori arriva dal bene rifugio per eccellenza: a 4.340 dollari l'oncia, il prezzo dell'oro nelle ultime cinque sedute registra un aumento dell'8,2% segnando la performance settimanale maggiore dal settembre 2008 (quando a dominare la scena era il crollo di una certa Lehman Brothers).
“Sono più preoccupato per un colpo al sentiment degli investitori, non per un grande impatto immediato sui bilanci delle regionali”, ha affermato Michael Bailey di Fulton Breakefield Broenniman.
Banche regionali USA: Zions e Western Alliance, cosa succede
Come evidenziato da Georgie McKay su Bloomberg News, la narrativa è chiara: quando i segnali di credito si deteriorano, la reazione è rapida e poco selettiva, e il motto diventa “vendere subito, fare domande dopo”.
Zions ha comunicato un charge‑off di 50 milioni di dollari su due prestiti della controllata California Bank & Trust mentre Western Alliance ha avviato un’azione legale per frode contro un debitore, innescando vendite a raffica su entrambe le azioni. Le due vicende finiranno inevitabilmente per accendere i riflettori sui conti del comparto, con tolleranza zero per sorprese su accantonamenti o anomalie di credito nelle banche regionali USA.
“La corsa agli sportelli di due anni e mezzo fa è ancora fresca nella memoria: la qualità del credito sarà il focus numero uno dopo le notizie su Zions e Western Alliance”, osserva Matt Maley di Miller Tabak.
I fallimenti che pesano
I crack di settembre hanno allargato le crepe: First Brands ha dichiarato passività per 10‑50 miliardi di dollari a fronte di 1‑10 miliardi di asset, con 2,3 miliardi di asset “svaniti” secondo un’istanza d’emergenza dei creditori, ed il Dipartimento di Giustizia ha aperto un’indagine. Jefferies e UBS hanno riportato esposizioni per centinaia di milioni a First Brands. Anche Tricolor ha lasciato scorie: JP Morgan e Fifth Third hanno segnalato perdite combinate per centinaia di milioni.
Gli scossoni recenti includono due default ravvicinati: l’implosione del lender auto Tricolor Holdings e il Chapter 11 del fornitore First Brands Group, che hanno messo in allarme i desk sul rischio di “altri casi in arrivo”. “Per ora sembrano episodi isolati, ma abbastanza ‘one‑off’ e gli investitori iniziano a cercarne altri”, ammonisce Mike Mayo di Wells Fargo, ricordando che i periodi di euforia del credito sono quelli in cui si fanno i prestiti peggiori.
Il clima resta teso: “c’è un livello di nervosismo minimo ma reale sui mercati del credito”, sintetizza Ron Albahary (LNW), invitando a non ignorare le “bandiere gialle” quando si accumulano i casi. Il contagio non si è fermato alle regionali: Citigroup e Bank of America hanno lasciato sul terreno oltre il 3%, mentre i conti solidi dei grandi istituti hanno ridotto l’ansia solo in parte. “I grandi hanno diversificazione per assorbire problemi come questi, mentre i piccoli hanno meno margine d’errore”, ricorda Mayo, mettendo in prospettiva la diversa resilienza tra colossi e mid‑tier.
Jamie Dimon e gli scarafaggi
Nella call sui conti, Jamie Dimon ha alzato l’asticella dell’attenzione: “quando vedi uno scarafaggio, probabilmente ce ne sono altri”, ha detto, aggiungendo che in fase di rallentamento le perdite su alcune categorie potrebbero essere superiori alla norma. Ha inoltre puntato i riflettori sulle BDC (Business Development Company, i fondi concepiti che investono in piccole e medie imprese e in aziende in difficoltà finanziaria) come proxy del private credit da 1.700 miliardi, dove la riduzione delle distribuzioni e il repricing stanno allargando il divario con l’azionario più ampio.
“Mi si drizzano le antenne quando succedono cose del genere…tutti dovrebbero essere avvisati”, ha insistito Dimon, definendo “non il nostro momento migliore” la perdita da 170 milioni legata a Tricolor.
Banche USA: prestiti più facili e regole più leggere
Paradossalmente, in un momento in cui i bilanci delle banche regionali USA sono sotto i riflettori, dalle autorità di regolamentazione arriva la proposta di un alleggerimento dei vincoli che, finora, hanno limitato la capacità operativa degli istituti minori.
Secondo rumor riportati dalle maggiori agenzie, la Federal Reserve, la Federal Deposit Insurance Corporation e l’Office of the Comptroller of the Currency intendono ridurre il Community Bank Leverage Ratio (CBLR) dall’attuale 9% al minimo legale dell’8%. La manovra, attesa da tempo dagli istituti di credito e ora in fase di revisione alla Casa Bianca, si tradurrebbe in una maggior liquidità destinata all’economia reale, grazie a un allargamento della platea di banche ammesse a tale regime semplificato rispetto ai tradizionali parametri di rischiosità.
Michelle Bowman, vicepresidente della Fed per la vigilanza, ha sottolineato come la struttura del CBLR sia nata per sostenere il credito, ma abbia mostrato limiti concreti: su oltre 4.000 community banks, solo 1.662 hanno abbracciato la formula semplificata. “Ridurre il requisito dall’9% all’8% potrebbe ampliare la platea degli istituti aderenti e rafforzare la capacità di prestito a supporto delle economie locali”, ha dichiarato Bowman alla Federal Reserve Board Community Bank Conference.