Montedison fu a metà degli anni '60 il principale gruppo industriale e finanziario italiano operante nel settore della chimica, quinto in Europa e settimo nel Mondo. Da public company trasformò negli anni in un polo molto ambito da parte dell'alta industria e finanza per il suo interesse in varie branche dell'imprenditoria italiana, come la farmaceutica, l'energia, la metallurgia, l'agroalimentare, l'assicurazione e l'editoria. Tutto sotto la regia di Mediobanca, che rese protagonista di gran parte delle operazioni finanziarie che riguardarono la compagnia.
Montedison: la nascita
L'azienda nacque il 7 luglio 1966 dalla fusione tra il leader della chimica Montecatini e il gruppo dominante nel settore dell'energia idroelettrica Edison. Lo scopo era di mettere insieme le enormi risorse finanziarie di Edison, che approfittò in quegli anni degli incentivi statali nel campo della petrolchimica, con i grandi piani di investimenti programmati da Montecatini, la quale però si trovava in dissesto finanziario.
Il matrimonio tra le due società fu reso possibile grazie agli indennizzi da parte dello Stato, che nel 1962 aveva espropriato buona parte degli impianti produttivi per la costituzione dell' Enel. Così mettendo insieme i vari fattori, gli alti vertici delle due società, Carlo Faina Presidente della Montecatini e Giorgio Valeri a capo della Edison, decisero per la fusione guidata da Enrico Cuccia, Presidente di Mediobanca.
Montedison: le prime scalate e i disegni politici di Cefis
Il primo a mettere le mani sul colosso della chimica e dell'energia fu lo Stato italiano, attraverso la Sogam, società finanziaria controllata da IRI ed ENI. Nel 1968 infatti fu condotta un'operazione finanziaria in Borsa, orchestrata da via Filodrammatici, che segnò il passaggio di un pacchetto azionario del 20% nel patrimonio dello Stato. Nessuno ai vertici di Montedison riuscì a capire chi stava scalando la società ma, una volta conclusa l'operazione, Valerio fu fatto fuori dai vertici aziendali e dovette lasciare il posto a Cesare Merzagora.
La svolta avvenne però nel 1971 quando l'ex Presidente dell'ENI, Eugenio Cefis, fu chiamato a dirigere l'azienda nella carica di Presidente. Secondo molti il disegno dell' ambiguo imprenditore e finanziere italiano era a sfondo politico, ovvero servirsi delle risorse di una grande azienda per sostenere politicamente la Democrazia Cristiana che aveva all'epoca come punto di riferimento Amintore Fanfani. L'acquisizione di grandi testate giornalistiche nazionali come il Messaggero e soprattutto le intenzioni di appropriarsi del Corriere della Sera, destarono più di un sospetto.
Ad ogni modo la gestione industriale durante la guida di Cefis, che durò fino al 1977, non fu entusiasmante sotto il profilo dei risultati aziendali, che furono costantemente in perdita. In realtà, sebbene il gruppo fosse controllato da ENI, Montedison spesso entrava in concorrenza con l'ente di Stato, soprattutto per accaparrarsi i contributi statali che servivano per effettuare investimenti nel Sud del Paese.
Montedison: la seconda scalata e la privatizzazione
Terminato il periodo di Eugenio Cefis ai vertici aziendali, si procedette ad una riorganizzazione e nel 1981 una cordata guidata da Agnelli, Pirelli, Bonomi e Orlando s'impadronì del capitale azionario di controllo della società. Da quel momento il bilancio interruppe la sequela di conti in rosso grazie anche alla dismissione di alcuni impianti produttivi che apportò centinaia di miliardi di lire nelle casse dell'azienda.
Ad ogni modo non diminuivano gli investimenti, anche in altri settori come quello assicurativo, tipo l'acquisizione di Fondiaria. Tuttavia le diatribe tra i principali azionisti non mancarono, in particolar modo in relazione alla view aziendale e a come contenere l'enorme indebitamento, che toccò quota 7.800 miliardi di lire.
Montedison: la scalata di Raul Gardini e gli investimenti verdi
I dissapori all'interno dell'azienda crearono il terreno fertile per l'arrivo del gruppo Ferruzzi, specializzato nel settore agroalimentare. Con una serie di speculazioni a Piazza Affari condotte dal suo Presidente Raul Gardini, Ferruzzi riuscì ad arrivare ad oltre il 40% delle azioni Montedison, quota che ovviamente assicurava il controllo della società.
Il piano di Ferruzzi era quello di investire sulla chimica verde, soprattutto con riferimento ai biomateriali e alle bioenergie, mentre Gardini voleva concentrarsi solo sul settore chimico tradizionale. L'indebitamento però era alle stelle e alcuni gioielli come Standa e Fininvest furono ceduti con lo scopo di ridurre l'esposizione, incassando più di 1.000 miliardi di lire.
Montedison: la fusione con ENI e lo scandalo delle tangenti
Il 1988 fu un anno storico per il settore petrolchimico, in quanto si realizzò quella che per tanti anni era considerata solo una chimera: l'alleanza nel settore tra pubblico e privato. Infatti in quell'anno ENI e Montedison costituirono una joint venture, denominata Enimont, che vedeva i due giganti del settore dividersi equamente le quote: 40% ENI, 40% Montedison, il resto flottante.
Il sodalizio durò pochissimo però, in quanto furono molte furono le divergenze a livello strategico, cosa che portò l'ente di Stato a cercare di far proprio quel 20% di flottante. La mossa fece naufragare definitivamente il rapporto tra i due poli, cosi nel 1990 il gruppo guidato da Raul Gardini decide di vendere la sua quota del 40% alla stessa ENI, uscendo definitivamente dall'alleanza.
Questo però fu l'inizio di un autentico terremoto che si scatenò all'interno dell'azienda in quanto, con l'inchiesta Mani Pulite condotta dalla Procura di Milano, emerse che la somma incassata dalla cessione azionaria servì per pagare le tangenti ad alcuni esponenti di spicco della politica italiana. La vicenda passò alla storia come la tangente Enimont .
Montedison: le ultime scalate e la fine della società
Dopo lo scandalo delle tangenti e la cessione della quota di Enimont a ENI, Montedison affrontò il nuovo decennio in maniera travagliata. La situazione debitoria divenne preoccupante, portando il gruppo sull'orlo del fallimento.
La soluzione non poteva che essere l'uscita di scena della famiglia Ferruzzi dal controllo della società e la conversione del debito in capitale azionario verso le banche creditrici. Così fu infatti, nel 1994 Ferruzzi S.r.l. cedette le sue quote e ben 53 banche entrarono nella compagine azionaria.
Le quote più rilevanti furono quelle di Sanpaolo Imi per il 15,75%, Credito Italiano per l'11,65%, Banca di Roma per il 10% e Monte dei Paschi di Siena per il 4,55%. Anche Mediobanca ebbe una quota di partecipazione con lo 0,5% delle azioni. La banca di Enrico Cuccia però stava preparando il terreno per l'ennesima scalata, con un'OPA da 3,16 miliardi lanciata poi nel 2000 attraverso Compart. Una volta ottenuta la quota di controllo con il 94,5% si procedette alla fusione tra Compart e Montedison, che diede vita a Montedison S.p.A.
Il nuovo azionariato ora era composto da Mediobanca che deteneva il controllo con il 15%, seguita da Assicurazioni Generali al 5,3%, Banca Intesa al 4,3%, Caltagirone al 4,6%, Italmobiliare al 4% e Premafin al 2,1%.
Mediobanca però non aveva la forza sufficiente per impedire un'altra scalata, quella dell'ente elettrico di Stato francese EDF che, con una serie di manovre volte al rastrellamento delle azioni, si impadronì nel maggio del 2000 del 30% della società. La manovra però non era ben vista dal Governo italiano che nell'operazione scorgeva vantaggi solo per l'azienda francese.
Per questo varò il Decreto Legge 192/01 per limitare il diritto di voto di EDF al 2%. Quindi esortò la creazione attraverso Fiat di un veicolo finanziario che portò all'acquisizione del 52,09% delle azioni Montedison e di conseguenza a un'OPA da quasi 5 miliardi di euro. L'anno successivo si arrivò al capitolo finale, con la fusione per incorporazione di 4 società energetiche, ossia Fiat Energia, Falck, Sondel ed Edison, che diedero vita a Edison S.p.A, decretando la fine di Montedison.