Un'analisi inaspettata che parte da un bar di provincia e arriva ai bilanci trimestrali di Meta e Google. Il vero rischio per l'ecosistema AI potrebbe non essere tecnologico, ma legale e sociale.
L'illusione perfetta: "Salvo" e il deepfake della Meloni
"Parla la Meloni, parla la Meloni, a vederle la bocca sta parlando". A pronunciare queste parole non è un esperto di cybersecurity, ma Salvo, il titolare del bar oltreconfine dove mi fermo ogni giorno. Pochi minuti prima, mi aveva mostrato con sincera preoccupazione un video: Giorgia Meloni che, con la sua voce e le sue fattezze, proponeva un "interessante" piano di investimenti. Salvo, sapendo che mi occupo di finanza, voleva un parere. Se lo dice "lei", dev'essere una cosa seria, no?
Questo episodio, apparentemente banale, è la spia di un incendio già divampato. È successo a soli tre giorni da quando, in un altro articolo (Sam Altman (OpenAI) ha clonato TikTok: Sora2 sarà la fine di internet), riflettevo sui rischi dell'imminente arrivo di generatori video AI ultra-realistici come Sora 2. Ipotizzavo un futuro in cui le persone comuni non sarebbero più state in grado di distinguere un video autentico da un deepfake, finendo per fidarsi ciecamente di truffe ben congegnate.
Quel futuro non è distante. È arrivato in 72 ore.
L'epidemia della disinformazione a pagamento
La mia preoccupazione è profonda. Se l'aneddoto di Salvo è già realtà oggi, con una tecnologia ancora in fase di perfezionamento, quale sarà la portata di questa epidemia tra sei mesi? Stiamo assistendo alla nascita di un'industria multimilionaria basata su notizie fasulle e raggiri.
Il video della "Meloni investitrice" non è un esperimento amatoriale. È una campagna pubblicitaria mirata.
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Qualcuno ha creato il video utilizzando strumenti AI accessibili.
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Qualcuno ha pagato profumatamente Meta (Facebook/Instagram) e Google (YouTube) per sponsorizzare quel video.
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Qualcuno sta guadagnando ingannando persone come Salvo, che credono a una raccomandazione proveniente (apparentemente) da una persona a capo del governo.
Il punto nevralgico è questo: le grandi piattaforme tecnologiche stanno monetizzando attivamente la disinformazione. Questi colossi, che basano i loro imperi sull'advertising, si trovano in un palese conflitto d'interessi. Da un lato, pubblicano policy fumose sulla sicurezza; dall'altro, incassano milioni da account truffaldini che comprano visibilità.
Pensiamo davvero che Meta o Google rinunceranno volontariamente a una fonte di guadagno così cospicua? Certo, banneranno qualche account, bloccheranno qualche ADV palesemente illegale, ma la verità è che, finché il modello di business lo consentirà, non faranno nulla di risolutivo.
Il Far West legale: "si rivolga a Meta"
L'inerzia delle piattaforme è aggravata da un vuoto normativo terrificante. Parlo per esperienza personale. Da tempo vedo circolare pubblicità truffa che utilizzano illecitamente la mia faccia e la mia voce per promuovere schemi fraudolenti.
Mi sono rivolto alle autorità, sono andato dalla polizia. La risposta è stata disarmante: "Guarda, lascia perdere. Noi non possiamo farci niente. Rivolgiti direttamente a Meta, rivolgiti direttamente a Google."
Riflettiamo un attimo sulla portata di questa affermazione. Un cittadino che subisce un atto illecito (furto d'identità, truffa) non può rivolgersi alle forze dell'ordine del proprio Stato, ma deve appellarsi al servizio clienti di un'entità privata straniera. Questo ci dice che, di fatto, le Big Tech hanno un potere superiore a quello delle autorità nazionali nel loro stesso territorio digitale. È uno scenario che dovrebbe farci paura.
Il punto di rottura: quando lo Stato sarà costretto a intervenire
Cosa succederà, però, quando le persone che si presenteranno alla polizia non saranno più poche unità, ma migliaia? Quando le truffe avranno svuotato i conti correnti di un numero tale di cittadini da creare un allarme sociale tangibile?
A quel punto, le autorità non potranno più rispondere "rivolgiti a Meta". La pressione pubblica costringerà i governi - a Washington come a Bruxelles - a muoversi. Saranno costretti a legiferare.
Ed è qui che si nasconde il "sassolino" che potrebbe inceppare l'intero ingranaggio miliardario dell'intelligenza artificiale.
La bolla AI non scoppierà per colpa di Nvidia, ma per la responsabilità legale
Immaginiamo lo scenario più probabile. I governi (Europa in testa, seguita forse dagli USA) approvano una nuova legge. Una legge semplice, ma devastante per il modello di business attuale: la responsabilità legale delle truffe ricade su chi permette la loro pubblicazione.
Se Meta e Google diventano legalmente ed economicamente responsabili per ogni euro rubato tramite una pubblicità ospitata sui loro server, la loro strategia cambierà dalla sera alla mattina. Non si tratterà più di "provare a bloccare" qualche video, ma di implementare controlli ferrei che blocchino preventivamente qualsiasi contenuto a rischio, per evitare cause legali miliardarie.
A quel punto, cosa succederà a tutte quelle organizzazioni criminali che oggi spendono milioni in ADV truffaldine? Smetteranno di spendere, perché non potranno più farlo.
Fonte: Forecaster.com
La reazione a catena: dall'ADV alla trimestrale
Ed ecco l'impatto finanziario. Nella trimestrale successiva all'entrata in vigore di questa legge, i bilanci di Meta e Google mostrerebbero un ammanco di fatturato incredibile. Parliamo di miliardi di dollari di entrate pubblicitarie (provenienti dalle truffe) che svaniscono di colpo.
Questo "buco" nei conti provocherebbe il panico sui mercati. Le azioni di queste aziende crollerebbero. Ma la reazione a catena non finirebbe lì.
Chi sono i maggiori acquirenti di chip Nvidia? Chi sta investendo decine di miliardi in OpenAI, AMD e Oracle per costruire le infrastrutture AI del futuro? Sono proprio Meta, Google, Microsoft e Amazon. Ne abbiamo parlato QUI: NVIDIA STA BARANDO? Il ciclo del denaro basato sull'intelligenza artificiale.
Se il loro fatturato principale (l'advertising, nel caso di Meta e Google) subisce un colpo durissimo a causa della nuova responsabilità legale sulle truffe, i loro budget per gli investimenti "lunari" sull'AI verranno immediatamente ridimensionati.
Questo è il sassolino. La bolla dell'intelligenza artificiale, gonfiata da investimenti colossali basati sull'aspettativa di profitti futuri illimitati, si ritroverebbe improvvisamente senza il suo carburante principale. Il crollo delle entrate pubblicitarie (causato dalla stretta normativa sulle truffe) bloccherà gli investimenti in hardware (Nvidia) e ricerca (OpenAI).
Non è una questione di "se" la bolla dell'AI scoppierà, ma di "quando" e "come". E, a giudicare dalla velocità con cui mio amico Salvo sta già rischiando di cadere in un raggiro, il punto di non ritorno è molto più vicino di quanto pensiamo. Forse, il vero detonatore non è un limite tecnologico, ma un avvocato.
E per gli investimenti? Quando dopo la polvere alzata dallo scoppio della bolla si poserà che situazione ci troveremo davanti? Un discorso che ci porta a scegliere ancor più saggiamente le nostre azioni, e che abbiamo approfondito appena ieri: Ho investito (in Borsa) seguendo la profezia di Jeff Bezos.
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