Chi ha seguito un po' la storia di Warren Buffett ha appreso che il leggendario investitore di Wall Street non ha mai provato attrazione per i titoli tecnologici. La sua filosofia d'investimento è sempre stata molto chiara: acquistare aziende di cui comprende l'attività, con una storia e un prodotto semplici e utili quanto più possibile facili da prevedera. Questo significa che Buffett non capisce le aziende tecnologiche?
Egli ha sempre sostenuto questo, ma in realtà le società del settore le capisce fin troppo bene. Quantomeno ne capisce quanto basta per sapere che si tratta di un mondo con un'evoluzione nell'innovazione e nel cambiamento a una velocità tale da rendere praticamente impossibile fare una proiezione sulle entrate future di un'azienda. Eppure l'oracolo di Omaha ha comprato azioni di qualche Big Tech e tra le poche fortunate rientra International Business Machine, abbreviata in IBM.
Warren Buffett: l'acquisto di IBM
L'acquisto di IBM è venuto alla luce da un'intervista che Buffett rilasciò nell'ottobre 2011 all'emittente CNBC. La Berkshire Hathaway - il conglomerato finanziario gestito da Buffett - aveva comprato 63,9 milioni di azioni IBM, equivalenti al 5,4% della società informatica. Con un esborso di 10,8 miliardi di dollari, quello fu il singolo maggior acquisto mai effettuato dal re del value investing fino ad allora.
Cosa colpì Buffett al punto di contravvenire al suo credo e spingersi così a fondo? Il 94enne ha sempre ammirato un aspetto di un'azienda: la buona gestione del management. Nel 1992 IBM si trovava sull'orlo del baratro, registrando una perdita di 5 miliardi di dollari. Mai un'azienda USA aveva perso così tanto in un solo anno. L'anno dopo, Lou Gerstner fu chiamato alla guida della società con l'obiettivo di ribaltarla.
La sua strategia si concretizzò nella vendita di tecnologie hardware con margini di profitto ridotti e nello spostamento del business verso il software e i servizi. Nel contempo, Gerstner cominciò ad attuare piani di buyback. Nel 1993 IBM aveva un flottante composto da 2,3 miliardi di azioni e dieci anni dopo il totale era sceso a 1,7 miliardi.
Questo fu un aspetto che non ignorò Sam Palmisano, quando nel 2002 prese il posto di Gerstner. Il nuovo CEO continuò l'opera di riacquisti, portando il numero di azioni disponibili sul mercato a 1,1 miliardi durante il suo mandato decennale. Inoltre, come se non bastasse, aumentò il dividendo del 460%, ovvero da 0,59 a 3,30 dollari per azione. Ovviamente Palmisano non si limitò a questo. Tra le cose apprezzate da Buffett risultò la liquidazione del ramo del personal computer, per concentrarsi su servizi, Internet e software. "Non conosco nessun'altra società di queste dimensioni con un management finanziario migliore", dichiarò Buffett. Tra l'altro, la società contrasse debito in maniera saggia, effettuando acquisizioni solo utilizzando la propria liquidità.
Naturalmente non fu solo la qualità del management a spingere il guru della finanza ad acquistare le azioni IBM. La società aveva un'egemonia nell'Information Technology come nessun'altra grande azienda. L'IT era un settore da 800 miliardi di dollari che copriva la consulenza, l'integrazione dei sistemi, l'esternalizzazione dell'informazione e dei business process.
L'utile da capitale dell'azienda ebbe una crescita straordinaria durante il periodo della gestione Gerstner-Palmisano. Dal 1994 al 2002 passò dal 14% al 35% e poi, quando ci fu il passaggio di consegne alla guida della società, dal 35% al 62% del 2012. Una buona parte di tali profitti era da ascrivere alla riduzione del flottante, ma un'altra consistente alla scelta di uscire da business con bassi margini di profitto per puntare su consulenza ed esternalizzazione.
Queste situazioni compensarono anche il fatto che la
regola del dollaro - uno dei principi sacri seguiti da Buffett -
non fu pienamente rispettata. Questa prevede che ogni dollaro trattenuto in azienda deve tradursi in almeno un dollaro di valore di mercato. Nei dieci anni prima dell'acquisto da parte della Berkshire, IBM aveva realizzato utili netti complessivi per 108 miliardi di dollari, dei quali 20 miliardi distribuiti agli azionisti e 88 miliardi trattenuti per reinvestimenti. Nello stesso periodo il valore di mercato della società era aumentato di circa 80 miliardi di dollari. Il rapporto quindi tra i due valori che compongono la regola del dollaro non fu esattamente 1:1.
Il valore di IBM
Ma quanto valeva effettivamente IBM? Per calcolare il valore di un'azienda, Warren Buffett parte da un parametro: l'
owner earning rapportato al rendimento dei titoli di Stato USA a lungo termine. L'owner earning è la somma tra gli utili netti, gli ammortamenti e le svalutazioni, al netto delle spese in conto capitale.
Nel 2010 IBM aveva generato 14,8 miliardi di dollari di utili netti, spendendone 4,2 miliardi in Capex. Gli ammortamenti furono di 4,8 miliardi di dollari. Ipotizzando un aumento degli utili del 7% per 10 anni e del 5% in quelli successivi, e attualizzando tutto a un tasso del 10% - molto più del 2% dei Treasury decennali di allora - si arrivava a un valore intrinseco di 326 dollari per azione, quasi il doppio della media di 169 dollari pagati da Buffett.
Warren Buffett: la vendita di IBM
In qualche occasione Buffett ha confessato di essere arrivato tardi su IBM, esattamente come non era stato puntualissimo su Coca-Cola dopo averla osservata per 50 anni. Tuttavia, l'investimento nella società tech non è stato tra quelli memorabili. Nel 2017 il panorama tecnologico mondiale stava subendo profondi cambiamenti con l'ascesa del cloud computing e dell'intelligenza artificiale. IBM faticava a tenere il passo, nonostante gli sforzi per reinventarsi con acquisizioni strategiche. Il risultato fu di una crescita stagnante e un prezzo delle azioni in calo, mentre altri titani della tecnologia avanzavano spediti.
Così Buffett perse fiducia e decise prima ridurre di circa un terzo i titoli IBM che la Berkshire deteneva in portafoglio e poi di liquidare gradualmente il resto. Il miliardario investitore ha sempre detto che le azioni di un'azienda possono essere tenute in portafoglio anche per sempre, a meno che il business non si deteriori. In quel momento IBM non era più la società meravigliosa che aveva visto quando investì massicciamente nel 2011. "Non vedo valore in IBM come lo vedevo sei anni fa quando ho iniziato ad acquistare le azioni", disse Buffett nel 2017 annunciando lo smantellamento della quota.