La Berkshire Hathaway, il conglomerato finanziario gestito da Warren Buffett, non ha mai distribuito dividendi da quando il leggendario investitore ne ha acquisito il controllo nel 1965. L'oracolo di Omaha ha sempre preferito reinvestire gli utili maturati sull'acquisto di partecipazioni azionarie oppure restituire il capitale agli azionisti attraverso il riacquisto di azioni proprie. Ormai da tempo gli investitori rifiutano di porre la stessa domanda a Buffett durante la riunione annuale di Berkshire in occasione della presentazione del bilancio, proprio per evitare di ricevere la stessa risposta. L'azienda non ama pagare i dividendi. Più che altro preferisce riceverli dalle numerose partecipazioni.
Buffett è fedele a uno dei suoi criteri applicati nella valutazione delle società che acquista, ossia alla
regola del dollaro. Secondo tale principio, per ogni dollaro trattenuto dopo la produzione di utili, l'azienda deve generare almeno un dollaro di valore di mercato. La Berkshire lo ha sempre fatto e quindi ha preferito reinvestire i profitti. Tuttavia, ha accumulato negli anni centinaia di miliardi di dollari di liquidità, che in parte ha utilizzato per gli share buyback; quindi ha
remunerato l'azionariato attraverso un canale indiretto. Il riacquisto infatti riduce le azioni in circolazione, aumentando l'utile per ogni azione detenuta. Ma perché sì ai riacquisti e no ai dividendi? La ragione, spesso ribadita da Buffett, è di
natura fiscale. I dividendi sono assoggettati a un'aliquota di imposta, a differenza dei buyback. Mentre i vantaggi sono simili, a meno che un soggetto non preferisca un flusso periodico regolare.
Warren Buffett: quando una società deve pagare i dividendi
Buffett però in assoluto non ha nulla contro i dividendi, solo che fa un discorso più ampio. Bisogna partire dall'utile e dal suo utilizzo. Ci sono aziende che hanno un payout del 70-80% e alcune che arrivano addirittura al 100%. Ciò vuol dire che restituiscono agli azionisti tutti o quasi i guadagni che producono. Esistono casi sporadici in cui il payout supera il 100%, ossia le aziende si indebitano per pagare il dividendo o financo aumentano il capitale diluendo le azioni. Queste aziende non godono di molta considerazione, se non in alcuni investitori sprovveduti.
Un'impresa redditizia, che accumula liquidità, può decidere di investirla nel business. Ad esempio, acquistando nuovi punti di vendita, investendo in ricerca e sviluppo, oppure acquisendo altre aziende dello stesso settore o di altri settori. Reinvestire gli utili spesso è importante per gli azionisti, in quanto la crescita dell'azienda fa il loro interesse. Se per ipotesi la liquidità non viene utilizzata per aprire nuovi punti vendita, i clienti vanno dalla concorrenza e le vendite e gli utili aziendali diminuiscono. Giocoforza ogni singolo azionista ne trae svantaggio, essendo proprietario di una parte della società. Come ha ripetuto spesso Buffett, quando si acquista un'azione si deve entrare nell'ottica dell'acquisto di un pezzo di un'azienda.
In tutto questo discorso, però, c'è da considerare un fatto. Quanto rende reinvestire i profitti generati? Quindi, quando e quanto conviene? Il 94 enne miliardario ha una concezione ben precisa: se il ritorno è superiore alla redditività media del mercato intesa come aumento di valore al netto del costo dell'investimento, allora espandere il proprio business, investire in ricerca e sviluppo, o acquisire altre aziende è preferibile. Non solo, è una scelta che identifica la razionalità del management. Se invece il ritorno dell'investimento è inferiore alla media di mercato, a quel punto i dirigenti aziendali devono restituire il denaro agli azionisti, ad esempio attraverso la distribuzione dei dividendi.
L'inefficienza fiscale
Abbiamo visto che Warren Buffett non è riluttante a prescindere ai dividendi e anzi apprezza il management che resiste all'imperativo istituzionale di acquistare a tutti i costi altre aziende commettendo spesso errori marchiani. Tuttavia, il capo di Berkshire preferisce i riacquisti ai dividendi per una questione fiscale. Quanto ci perde l'azionista in realtà con i dividendi?
Negli Stati Uniti le cedole scontano una tassazione del 30%, con il problema della doppia tassazione se i percettori sono stranieri. Ad esempio, un cittadino italiano che compra azioni americane riceve dividendi già tassati negli Stati Uniti e sul netto dovrà pagare un'ulteriore imposta del 26% in Italia. Tuttavia, sulla base degli accordi bilaterali Italia-USA, l'aliquota americana viene ridotta dal 30% al 15% seguendo una determinata procedura. Ciò non toglie che i dividendi sono fiscalmente inefficienti rispetto ai buyback, sui quali non si applica alcuna imposizione.