Warren Buffett: cosa c'è da sapere sull'acquisto del Washington Post | Investire.biz

Warren Buffett: cosa c'è da sapere sull'acquisto del Washington Post

02 ott 2024 - 14:00

02 ott 2024 - 14:21

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Il Washington Post rappresenta uno dei grandi acquisti di Warren Buffett. Ecco tutto quello che c'è da sapere sull'operazione dell'oracolo di Omaha

La luna di miele tra Warren Buffett e il Washington Post iniziò nel 1971, quando l'investitore conobbe Katharine Graham, che all'epoca controllava il giornale. All'inizio degli anni '70 il Post era uno dei primi cinque quotidiani degli Stati Uniti e, dopo un periodo di crisi, stava subendo alcune trasformazioni profonde. Quell'anno ci fu l'incontro tra Buffett e Graham per via della richiesta dell'investitore circa un eventuale interesse del Post di rilevare il New Yorker, un giornale di cui Buffett aveva delle quote. L'affare non andò in porto, ma il re del value investing rimase colpito dalla sua interlocutrice. Lo stesso anno Graham decise di far debuttare il Washington Post in Borsa, dividendo le azioni in due classi: quelle A che eleggevano la maggioranza del Consiglio di amministrazione; quelle B che votavano gli altri componenti. Graham era in possesso del 50% delle azioni A, il che le permetteva di controllare la società. 
 
 

Washington Post: l'entrata di Warren Buffett

In realtà l'origine del legame tra Warren Buffett e il Washington Post è da attribuirsi a un'epoca più lontana, quando il giovane e brillante ragazzo tredicenne di Omaha consegnava a domicilio le copie del giornale. Quindi aveva già dimestichezza con il quotidiano. Due anni dopo la quotazione, Wall Street perse valore a seguito della decisione della Federal Reserve di alzare i tassi di interesse fino al 6%. Il crollo in Borsa fu visto come una grande occasione da Buffett, che continuava ad accumulare azioni del Post a prezzo scontato. A giugno del 1973, l'investitore aveva accumulato poco più di 467 mila azioni a un prezzo medio di 22,75 dollari, per un valore complessivo della sua quota di oltre 10 milioni di dollari.
 
Buffett non aveva il controllo, ma era a quel punto un azionista rilevante, cosa che non fu accolta di buon grado da Graham. Quest'ultima rifiutava il fatto che un azionista non appartenente alla famiglia fosse proprietario di così tante azioni. Buffett però la rassicurò, convincendola che gli acquisti di Berkshire erano solo a scopo di puro investimento. Così Graham invitò Buffett nel Consiglio di amministrazione e lo elesse poco dopo presidente del comitato finanziario. La presenza di Buffett fu estremamente importante per Graham nella gestione degli affari, soprattutto quando dovette far fronte agli scioperi dei tipografi degli anni '70.
 
 

Perché Buffett ha acquistato il Washington Post

Nei suoi investimenti Buffett ha seguito sempre quattro criteri: di business, di management, finanziari e di mercato (Warren Buffett: ecco i 4 criteri che guidano i suoi investimenti). Nel business dell'azienda da acquistare, Buffett ha voluto sempre verificare che avesse alle spalle una storia operativa coerente e la sua attività fosse semplice e comprensibile. Il management doveva essere capace e onesto. Dal punto di vista finanziario, la società doveva generare un ROE e un margine operativo interessanti. Infine, il prezzo delle azioni doveva risultare molto inferiore al valore intrinseco dell'azienda, per costituire un adeguato margine di sicurezza.
 
Sulla base di questi principi, Buffett decise che il Washington post era un buon investimento. Egli aveva familiarità con i quotidiani, in quanto in precedenza era stato responsabile della distribuzione del Lincoln Journal, mentre nel 1969 aveva acquistato l'Omaha Sun, insieme a un gruppo di settimanali. L'Omaha Sun fu una vera palestra per lui, poiché gli permise di imparare le dinamiche economiche di un quotidiano. Il Washington post aveva una storia di successi dietro e Buffett non ci mise molto a rendersi conto del valore del broadcasting del gruppo.
 
Tra l'altro, a suo avviso, i quotidiani hanno un grande valore di avviamento perché non serve un grande capitale e le vendite vengono ben presto trasformate in utili. Negli anni '70 e '80, i giornali ebbero altresì una grande capacità di determinazione dei prezzi, con gli utili che riuscirono a coprire gli investimenti, i minori costi del lavoro e soprattutto gli effetti nefasti dell'inflazione. 
 
 

Washington Post: la valutazione di Buffett

La gran parte degli investitori fa riferimento a parametri come il price/earnings per verificare se un'azienda è sopravvalutata o sottovalutata, oppure determina il valore intrinseco facendo affidamento all'attualizzazione dei flussi di cassa futuri. Buffett invece utilizza l'owner earning per stabilire l'effettivo valore della società oggetto di valutazione. Una volta determinato tale valore, lo confronta con il valore di mercato e stabilisce se l'acquisto delle azioni garantisce un adeguato margine di sicurezza. L'owner earning è l'utile al netto delle imposte, a cui si sommano gli ammortamenti e altri valori non monetari, e si sottraggono gli investimenti in conto capitale. Rispetto alla formula dell'attualizzazione dei flussi di cassa futuri, l'owner earning considera il Capex.
 
 
Ma quali erano il valore di mercato e quello effettivo del Washington Post quando Buffett comprò le azioni? Nel 1973 la capitalizzazione della società era di circa 80 milioni di dollari, ma la valutazione di Buffett prendendo come punto di partenza l'owner earning arrivava a 400-500 milioni di dollari. In che modo? L'utile netto era di 13,3 milioni di dollari, ammortamenti e svalutazioni ammontavano a 3,7 milioni, il Capex a 6,6 milioni. Quindi, l'owner earning risultava di 10,4 milioni di dollari. Per calcolare il valore intrinseco della società, Buffett divide l'owner earning per il rendimento a lungo termine dei titoli di Stato USA, che all'epoca corrispondeva al 6,81%. Da ciò si otteneva un valore del Washington Post di poco oltre 150 milioni di dollari. Tuttavia, per Buffett, nel corso del tempo il Capex di un quotidiano eguaglia i costi di ammortamenti e deprezzamenti vari, quindi l'utile netto tende a equivalere all'owner earning. A questo punto si potrebbe dividere l'utile netto al tasso privo di rischio, ottenendo una valutazione di 196 milioni di dollari.
 
Considerando la capacità di determinazione dei prezzi del giornale e quindi di un possibile aumento del prezzo reale del 3%, il valore della società secondo Buffett si avvicinava a 350 milioni di dollari. Per arrivare alla cifra di 400-500 milioni di dollari, subentrava il fatto che gli utili prima delle imposte erano del 10%, al di sotto della media storica del 15%. Graham era assolutamente determinata a riportare i profitti ai livelli del passato e qui entrò in gioco nella valutazione di Buffett la capacità del management su cui egli nutriva una grande fiducia. 
 
 

Come è andato l'investimento nel tempo

Con la sua quota nel Post, Buffett raggiunse un utile sul capitale del 15,7%, nella media rispetto a gran parte dei quotidiani, ma superiore all'indice S&P 500. I numeri però crebbero nel tempo. Nell'arco di 5 anni, l'utile dell'azienda raddoppiò, superando del 50% la media del settore. Nei dieci anni successivi il Post tenne il primato, raggiungendo quota 36% nel 1988. Inoltre, la società era riuscita a ridurre il debito, portandolo dal 70% sul capitale del 1978 al 2,7% del 1983.
 
In un ventennio il Washington Post produsse 1,76 miliardi di utili per gli azionisti, di cui 299 milioni distribuiti e il resto reinvestiti nell'azienda. Il valore della società passò da 80 milioni di quando Buffett acquistò le azioni a 2,63 miliardi nel 1992. Il guru della finanza ha tenuto la sua quota del 28% fino al 2014.
 
 
 
 
 
 

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