MPS rivive l'incubo del burden sharing, che potrebbe tornare d'attualità nell'ambito della ricapitalizzazione della banca senese e che il Ministero dell'Economia e delle Finanze sperava di scongiurare (
MPS: ascesa e tramonto della banca più antica del mondo). Tale operazione potrebbe aver luogo nel caso di fallimento dell'aumento di capitale e rappresentare un piano B a disposizione della Banca Centrale Europea (
Storia della BCE).
Il burden sharing è quella procedura disciplinata dall'articolo 132 della Direttiva UE/2014/59 Bank Recovery and Resolution Directive che prevede la decurazione di valore e la conversione forzosa delle obbligazioni subordinate della società, qualora quest'ultima sia in dissesto. Tale meccanismo richiede anche che qualsiasi aiuto pubblico sia sottoposto all'approvazione della Commissione Europea. Le indiscrezioni di stampa riportano che Francoforte è già pronta a far scattare tale piano di riserva, qualora quello principale non andasse in porto.
Burden sharing MPS: una storia che si ripete
Gli obbligazionisti di MPS hanno già vissuto la paura del burden sharing alla fine del 2021, quando saltarono le trattative tra il MEF e
UniCredit per rilevare l'istituto di Rocca Salimbeni.
Secondo gli esperti di Equita SIM, il mercato attualmente sta scontando il burden sharing come scenario più probabile, con la conversione delle obbligazioni subordinate per un ammontare pari all'aumento di capitale di circa 900 milioni di euro. Il pericolo si fa sempre più concreto perché il contesto attuale e storico non sono dalla parte dell'istituto guidato da Luigi Lovaglio.
Da un lato, infatti, fermenta il timore di una recessione in arrivo e di un'inflazione che rimane elevata, dall'altro vi è una capitalizzazione di mercato che scende sempre di più e che oggi è arrivata a 233 milioni di euro, ossia meno di un decimo dei 2,5 miliardi di euro richiesti per la ricapitalizzazione. Da quando è scoppiata
la crisi del 2008, MPS ha polverizzato 25 miliardi di euro degli investitori.
MPS: le manovre del Tesoro
I rumors arrivano mentre il Tesoro sta dandosi da fare, insieme all'Amministratore Delegato Luigi Lovaglio, per convincere i gruppi finanziari a partecipare alla ricapitalizzazione. In corso vi sono trattative serrate con Anima Holding e Axa, che potrebbero versare rispettivamente 200 e 100 milioni di euro. Tuttavia, per completare l'operazione servono 900 milioni (visto che il MEF metterà 1,6 miliardi in quanto socio di maggioranza con il 64% delle quote).
Lo Stato sta sondando il terreno per vedere la disponibilità di grandi banche come UniCredit,
Intesa Sanpaolo, Credit Agricole,
Banco BPM e BPE, oltre a casse di previdenza e assicurazioni. Una sorta di "chiamata alle armi" per costruire un
fronte comune per salvare la banca più antica del mondo. I colloqui però non sono facili, perché le pretese degli istituti finanziari di entrare nel capitale spesso entrano in rotta di collisione con quelli che lo Stato considera interessi pubblici.
L'obiettivo del Tesoro è quello di raccogliere 500 milioni dalle banche e 100 milioni da casse di previdenza e assicurazioni, che uniti ai 300 milioni del duo Anima-Axa raggiungerebbero la fatidica quota dei 900 milioni di euro necessari. Bisogna però fare in fretta perché la vigilanza della BCE è molto stretta in questo momento. Di tempo infatti non ce n'è molto. L'aumento di capitale dovrebbe partire il 17 ottobre, dopo lo slittamento di una settimana rispetto alla data originaria.