UniCredit: storia, nascita e sviluppo del gruppo bancario | Investire.biz

UniCredit: storia, nascita e sviluppo del gruppo bancario

01 ago 2020 - 09:00

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In questo articolo vediamo come è nata e si è sviluppata la seconda banca italiana, ripercorrendo i fatti salienti che l'hanno caratterizzata fino ai giorni nostri.

UniCredit è il secondo gruppo bancario italiano, dopo Intesa Sanpaolo. Ripercorriamo la storia dell'istituto di credito che ha vissuto negli anni numerose vicende: dall'espansionismo internazionale alle crisi finanziarie che hanno indebolito la struttura patrimoniale della società e che hanno costretto varie volte i soci a sacrifici non indifferenti. Nonostante i crolli di Borsa e gli avvicendamenti nella gestione societaria, UniCredit conserva oggi la palma di gruppo bancario solido e affidabile nel panorama italiano del credito.


UniCredit: le origini

Il gruppo UniCredit nasce nel 1998 dalla fusione tra Credito Italiano e Unicredito. Le origini però sono più antiche. Bisogna risalire al 1870, qualche anno dopo l'Unità d'Italia, quando viene fondata la Banca di Genova, che si trasformerà nel 1895 in Credito Italiano.

Negli anni Credito Italiano si distingue da altre banche d'investimento al punto che nel 1937 l'IRI lo qualifica come Banca d'Interesse Nazionale. Nel 1993 avviene la prima privatizzazione in Italia per una banca e cinque anni più tardi l'aggregazione con Unicredito, holding formata da tutta una serie di Fondazioni bancarie.

Inizialmente la banca a cui si dà vita viene denominata Unicredito Italiano che accoglie al suo interno Credito Italiano, Rolo Banca 1473, Banca del Friuli, Banca Popolare del Molise (di proprietà di Credito Italiano) e Cariverona e Cassa di Risparmio di Torino e Cassamarca (che formano Unicredito). Nel 1999 il gruppo assorbe la Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e la Cassa di Risparmio di Trieste. Nel 2002 tutte le banche facenti parte del gruppo vengono fuse in Unicredito Italiano.

Il 1° gennaio 2003 vi è la trasformazione in UniCredit, con l'istituto di credito che opera in tre branche: una riservata alla clientela al dettaglio e alle piccole imprese (UniCredit Banca); una rivolta alla clientela di rango più elevato (UniCredit Private Banking); una specifica per le imprese (UniCredit Banca d'Impresa).

Qualche mese più tardi vi è la fusione nella neo-nata UniCredit di altre due banche appartenti al gruppo: Cassa di Risparmio di Carpi e Banca dell'Umbria.

Con tutte queste acquisizioni l'istituto di credito assume una valenza di carattere nazionale e non più territoriale, preparando il terreno per allargarsi anche all'estero.

 

Unicredit: le acquisizioni degli anni 2000

Negli anni 2000 UniCredit si espande effettuando alcune operazioni rilevanti. Tra queste l'OPA lanciata nel 2005 sulla banca tedesca HVB-Group. L'operazione assicura al gruppo guidato allora da Alessandro Profumo il controllo di una serie importanti di banche tramite partecipazioni a cascata, come ad esempio della polacca Bank BPH.

Il fatto in sè è molto significativo in quanto la partecipata sarà poi oggetto di fusione con un'altra grande banca polacca acquistata nel 1999 da UniCredit, ossia Bank Pekao. L'aggregato che ne viene fuori diventa il principale istituto di credito di tutta la Polonia, superando la banca Pko che è controllata dal Governo polacco.

Un'altra operazione imponente effettuata da Piazza Gae Aulenti avviene nel 2007 tramite la fusione con Capitalia, società bancaria guidata da Cesare Geronzi, al centro degli scandali riguardanti il crac Cirio. Il patto tra le due banche ha come conseguenza diretta l'ingresso ulteriore di Mediobanca nel gruppo UniCredit, portando la quota di partecipazione di Piazzetta Cuccia dal 9% al 18%. 

 

Unicredit: le crisi finanziarie e gli aumenti di capitale

L'espansionismo di UniCredit trova una violenta battuta d'arresto con la crisi finanziaria dei mutui subprime nel 2008. L'effetto in Borsa per il titolo azionario è devastante: solo nel mese di settembre le azioni crollano del 29%.

I continui ribassi di Piazza Affari spingono l'amministratore delegato, Alessandro Profumo, a convocare d'urgenza tutto il CdA proponendo un aumento di capitale di 3 miliardi di euro. L'obiettivo è quello di rafforzare l'assetto patrimoniale destabilizzato dalla perdita di valore delle azioni.

Nel 2009 il Ministro delle Finanze Giulio Tremonti sottoscrive i Tremonti Bond. Si tratta di titoli obbligazionari perpetui proposti alle banche che, per via della crisi, hanno compromesso la capitalizzazione TIER1 imposta dalle Autorità di Vigilanza. Piuttosto però che ricorrere agli aiuti statali, nel settembre di quell'anno UniCredit effettua un altro aumento di capitale di 4 miliardi, allineandosi in questo modo ai coefficienti patrimoniali richiesti.

Il provvedimento approvato dall'Assemblea dei soci permette al gruppo di superare lo stress test effettuato dal Committee of European Banking Supervisors, istituito dalla Commissione Europea nel 2004.

Pur tuttavia il crollo del titolo in Borsa e gli esborsi esosi richiesti ai soci per aderire ai due aumenti di capitale, minano la fiducia del CdA verso Alessandro Profumo. La goccia che fa traboccare il vaso è la mancata comunicazione dello stesso Profumo dell'acquisto di un pacchetto azionario del 7,58% da parte di alcuni fondi libici. A quel punto l'amministratore delegato viene costretto alle dimissioni, avvenute il 21 settembre 2010, con una buona uscita di 40 milioni di euro. Il suo posto viene preso dal responsabile di UniCredit per l'Europa dell'Est, Federico Ghizzoni.

Verso la fine dell'anno molte banche facenti parte del gruppo trasferiscono tutti i rapporti in capo a UniCredit Spa, con l'eccezione di FinecoBank, UniCredit Factoring e UniCredit Management Bank. La prima è specializzata nel trading online e verrà ceduta nel 2019; la seconda è qualificata nelle operazioni di factoring; mentre l'ultima è delimitata alla gestione degli NPL e verrà venduta nel 2015.

Nel 2011 arriva la seconda crisi finanziaria che riguarda i debiti sovrani dell'Europa Meridionale. Tra febbraio e settembre di quell'anno le azioni UniCredit subiscono nel listino milanese un autentico tracollo: 63% di perdite. Il 14 novembre il CdA, durante la presentazione del piano industriale triennale, propone il terzo aumento di capitale di 7,5 miliardi e lo stop ai dividendi per tutto il 2012. I conti del trimestre sono drammatici: una perdita di 10,6 miliardi di euro, a seguito di svalutazioni dell'attivo patrimoniale di 9,6 miliardi per via dei crediti in sofferenza. La conseguenza è la dichiarazione di esubero di 5.200 dipendenti in tutta la Penisola.

Il calo delle quotazioni azionarie comporta il raggruppamento di 1 azione ogni 10 possedute, avvenuto il 27 dicembre 2011. Una settimana più tardi l'istituto di credito comunica i dettagli dell'aumento di capitale, con uno sconto del 43% delle nuove azioni. La mossa viene percepita in modo molto negativo dal mercato che vende a mani basse le azioni UniCredit, che perdono il 37% nei tre giorni successivi di contrattazione.

La ripresa finanziaria per la banca è molto difficoltosa negli anni successivi e la crisi di liquidità spinge l'azienda di credito ad alcune importanti dismissioni. Verso la fine del 2016 viene ceduta Bank Pekao incassando complessivamente 3 miliardi di euro. Contestualmente viene venduta anche la quota di controllo della società di gestione patrimoniale, Pioneer Investments, che significa per le casse societarie un introito di 3,54 miliardi di euro.

Il denaro che arriva dalle cessioni però non è abbastanza per mantenere stabile la solidità patrimoniale del gruppo, quindi il 23 gennaio 2017 arriva il quarto aumento di capitale: ben 13 miliardi di euro in nuove azioni recanti uno sconto del 38% e dopo che in precedenza erano state nuovamente raggruppate con una proporzione 10:1.

 

Unicredit: gli ultimi anni e il nuovo piano industriale

L'anno 2018 si chiude in maniera positiva per la banca italiana, con un fatturato di 19,7 miliardi di euro e un utile prima delle imposte di 3,9 miliardi. Le dismissioni delle partecipate comunque non finiscono. Nel maggio del 2019 UniCredit vende metà del 35% della quota in FinecoBank e a luglio dello stesso anno cede la rimanente. Quattro mesi più tardi c'è la comunicazione di collocamento presso gli investitori istituzionali dell'8,4% detenuto in Mediobanca.

Intanto il 3 dicembre 2019 viene presentato il nuovo piano industriale e finanziario 2020-2023, che prevede tra l'altro il taglio di 8 mila dipendenti, di cui 5 mila in Italia e la chiusura di 500 filiali, di cui 450 nel Belpaese. Il defalcamento del personale si aggiunge ai 27 mila di tagli di posti di lavoro annunciati nel 2017, senza che ci sia previsione di nuove assunzioni.

Per quanto riguarda la presenza dei crediti deteriorati, è prevista la prosecuzione dell'attività di cessione degli stessi a società veicolo, quando l'esposizione è inferiore a 9 miliardi di euro. Il bilancio del 2019 per UniCredit si chiude con un fatturato di 18,8 miliardi di euro e un utile netto di 3,4 miliardi; quest'ultimo in deciso calo (-17,9%) rispetto all'anno precedente.

Ad oggi comunque Unicredit è la prima banca italiana per patrimonio gestito e per ricavi; mentre è la seconda dopo Intesa Sanpaolo per quota di mercato con 26 milioni di clienti raggiunti.

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