Dollaro USA: 3 motivi per cui non sarà più valuta di riferimento | Investire.biz

Dollaro USA: 3 motivi per cui non sarà più valuta di riferimento

26 mag 2021 - 12:30

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La crisi del biglietto verde fa avanzare parecchi dubbi sul fatto che la valuta possa essere la principale riserva mondiale. 3 fattori ne minacciano l'egemonia, eccoli

Il dollaro USA non è più oggetto di desiderio degli investitori valutari. Il Dollar Index ha toccato nelle ultime ore il minimo valore dal mese di gennaio e le prospettive non sembrano essere delle migliori. L'ultima indagine dell'FMI ha portato alla luce come le riserve in dollari delle Banche centrali del quarto trimestre del 2020 siano scese al 59%, ossia al livello più basso degli ultimi 25 anni.

Ad essere privilegiate ora sono monete come l'euro e il renminbi, perché è accresciuto il numero di Paesi che, commerciando nella moneta unica o cinese, preferiscono detenere riserve in quelle divise piuttosto che in biglietti verdi.

Ad ogni modo tutto questo è frutto di un processo logico. Il PIL mondiale nell'era susseguente alla Seconda Guerra Mondiale in gran parte era generato negli Stati Uniti e quindi era chiaro che il biglietto verde rappresentasse la valuta di riferimento. Oggi le cose sono cambiate, soprattutto con l'avanzata della Cina che si è affermata come seconda potenza mondiale. Gli USA infatti detengono meno di un quarto della produzione globale e quindi il dollaro è meno richiesto.

 

Dollaro USA: 3 motivi per cui non sarà più principale riserva

Il problema adesso è determinare se questa tendenza possa inaugurare un periodo più o meno lungo di debolezza valutaria del dollaro americano. In realtà ci sono almeno 3 fattori che accendono un campanello d'allarme:

 

La politica monetaria e fiscale

Una valuta di riserva può conservare la sua credibilità allorché lo Stato è in grado di garantirla con asset sicuri e liquidi. Così è sempre stato negli Stati Uniti, con i bond governativi americani che hanno rappresentato il rifugio perfetto per gli investitori. Tuttavia, vi è una minaccia che mette in gioco la credibilità di tutto questo, ovvero l'inflazione.

Nel momento in cui la politica monetaria della Federal Reserve non è più orientata a frenare l'avanzata dei prezzi e la politica fiscale del Tesoro continua ad essere eccessivamente espansiva, il dollaro perde quella forza che ha sempre avuto. Di conseguenza non funge più da porto sicuro per gli investitori e i commercianti, soprattutto in periodi di turbolenze economico-finanziarie.

 

Il problema della liquidità e la politica protezionistica USA

La ricerca di liquidità dei grandi hedge fund per coprire posizioni speculative sui T-Note USA dopo lo shock pandemico ha messo in difficoltà il sistema finanziario, che ancora una volta è stato salvato dalla Banca centrale americana. Questo ha però messo in dubbio il dollaro come riserva di valore al riparo da qualsiasi minaccia e la cosa potrebbe presagire eventi non proprio incoraggianti al verificarsi di un altro cigno nero come quello del Covid-19.

Il tutto va messo in relazione con una politica americana indirizzata al protezionismo, innescata da Donald Trump e in parte proseguita con Joe Biden. Basti pensare che la quantità di Treasury Bond detenuti dalla Cina durante l'era Trump è passata da 1.200 a 1.050 miliardi di dollari, per crescere a 1.100 miliardi con la nuova Amministrazione USA. L'incognita quindi è se Biden in futuro cercherà un approccio più collaborativo con i rivali cinesi o darà continuità a una guerra fredda che alla fine potrebbe rivelarsi dannosa per la stabilità del biglietto verde.

 

Le alternative al dollaro USA

L'egemonia del dollaro americano finora non è mai stata messa in discussione per mancanza di alternative valide. Come accennato però vi sono due valute che stanno venendo alla ribalta: l'euro e il renminbi. La moneta unica attualmente costituisce il 20% delle riserve globali e la pandemia ha aiutato a rendere più unito il blocco dei Paesi dell'Eurozona, come dimostra l'implementazione del Recovery Plan.

La variabile sta nel fatto che, seppur in crescita, il mercato dei titoli di Stato del Vecchio Continente ancora non è in grado di fornire quella sicurezza che è stata data da quello americano per tantissimi anni. Quanto alla divisa cinese, essa parte con un vantaggio relativo dovuto alla ripresa della Cina più rapida rispetto a tutti gli altri Paesi logorati dalla pandemia.

Inoltre il Dragone ha gradualmente aperto le porte al capitale straniero nei mercati finanziari generando un afflusso monetario che poi si è tramutato in riserve valutarie. Il rafforzamento del renminbi ne è una dimostrazione e questo servirà a dare maggiore stabilità e sicurezza contro la minaccia inflazionistica.

Gli stranieri devono però tener conto del regime di Pechino e della possibilità di un interventismo statale anche sulla valuta, il che potrebbe compromettere seriamente il ruolo che essa avrà nel futuro. Una vera mina vagante che potrebbe insidiare la supremazia della moneta a stelle e strisce come riserva di valore è il Bitcoin.

La criptovaluta per alcuni rappresenta un'utopia, per altri una speranza, per altri ancora una certezza. Ad ogni modo l'estrema volatilità legata alla blockchain non consente per il momento di assurgere Bitcoin a questo compito ma, qualora le oscillazioni dovessero ridursi e fossero meno dipendenti da un tweet di Elon Musk, probabilmente la questione sarebbe tutta da riconsiderare.

 

 

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