L'affare si fa quando si compra e non quando si vende. Questa è una delle più conosciute massime nel mondo del business e riguarda anche il mercato azionario. Questo non toglie che l'attività di vendita sia altrettanto importante di quella di acquisto, perché scegliere il momento giusto per liberarsi di un'azione permette di incamerare i guadagni e soprattutto di evitare che un'operazione in profitto finisca in perdita o, ancora peggio, di rendere una perdita ancora più ampia. Ma quando vendere un'azione? Qui entrano in gioco diverse scuole di pensiero e la valutazione non è unanime. Il grande economista e investitore
Philip Fisher aveva un suo pensiero ben preciso. Vediamo qual è.
Philip Fisher: vendere troppo presto l’errore più comune
Fisher critivava la tendenza di molti investitori a vendere un titolo non appena ottenuto un guadagno soddisfacente. Questo comportamento è radicato nella psicologia: le persone vogliono "bloccare" il profitto per paura di perderlo.
Ma, per Fisher, questa è una delle peggiori abitudini che si possano avere. "Il vero denaro si guadagna lasciando correre gli utili, non prendendoli troppo presto", affermava. Vendendo troppo presto, l’investitore si priva del potere dell’interesse composto e dei decenni di crescita che le aziende eccezionali possono generare.
Fisher ha elencato con chiarezza alcune situazioni in cui non bisogna vendere, anche se il mercato o l’opinione pubblica spingono in quella direzione. Eccole di seguito:
- paura di una correzione di mercato. Nessuno può prevedere i movimenti a breve termine. Vendere solo perché “il mercato sembra alto” è un errore che porta quasi sempre a perdere i rialzi successivi. Le oscillazioni a breve sono rumore, non cambiamenti fondamentali;
- il titolo è salito troppo. Un titolo può sembrare caro rispetto al passato, ma se l’azienda continua a crescere e a innovare, il valore reale cresce insieme al prezzo. Molti investitori vendono dopo un raddoppio, e poi guardano il titolo salire di altre 10 volte nel decennio successivo;
- piccole delusioni nei risultati. Le aziende non crescono in linea retta. Trimestri deludenti o notizie negative temporanee non giustificano una vendita, se la tesi di lungo periodo resta valida. Bisogna distinguere tra problemi temporanei e problemi strutturali.
Philip Fisher: le vere ragioni per vendere
Fisher riconosceva che ci sono pochi ma chiari casi in cui la vendita è giustificata. Questi motivi sono legati a cambiamenti reali nei fondamentali o negli obiettivi dell’investitore. Ecco tre situazioni in cui occorre liberarsi delle azioni in portafoglio.
Quando l’azienda perde le caratteristiche che la rendevano eccezionale.
Il primo e più importante motivo per vendere è un deterioramento dei fondamentali:
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calo dell’innovazione,
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perdita di vantaggio competitivo,
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peggioramento della gestione o della cultura aziendale,
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incapacità di mantenere margini o quota di mercato.
"Quando i motivi per cui hai comprato non esistono più, è il momento di vendere", diceva Fisher. Questo implica un monitoraggio costante, ma razionale: non bisogna reagire a ogni notizia, bensì osservare tendenze durature.
Quando si presenta un’opportunità nettamente migliore
Se si scopre un’azienda nuova, con prospettive di lungo periodo molto più interessanti, può avere senso spostare i capitali. Questo però solo se il nuovo investimento offre vantaggi strutturali superiori, non semplicemente perché sembra più economico.
Quando servono fondi per motivi personali o fiscali
Fisher ammetteva che ci sono ragioni pratiche (ad esempio esigenze di liquidità, tasse, o pianificazione patrimoniale) che possono richiedere la vendita. In questi casi, la decisione non è economica ma personale, e va gestita con disciplina.
Non confondere il prezzo con il valore
Uno dei messaggi più forti che ha lanciato Fisher nella sua carriera è che il prezzo di mercato è solo un riflesso temporaneo del valore reale. Molti investitori si lasciano influenzare dal rumore giornaliero dei prezzi, dimenticando che il valore di un’azienda dipende dai suoi suoi prodotti futuri, dalla capacità del management, dall'espansione nei mercati, e dalla sua capacità di innovare nel tempo. Fisher consigliava di concentrarsi su questi elementi di lungo periodo, non sui movimenti di prezzo. “Chi confonde il prezzo con il valore finirà per comprare e vendere sempre nel momento sbagliato”, affermava.
Fisher riconosceva con onestà che anche i migliori investitori possono sbagliare. Se, dopo aver acquistato, emergono prove chiare che l’analisi iniziale era sbagliata - ad esempio se l’azienda non possiede davvero i vantaggi competitivi ipotizzati - allora è meglio vendere subito, senza aspettare di “tornare in pari. Mantenere una posizione solo per orgoglio o per paura di una perdita è una trappola psicologica che può fare molto male.
Il potere della pazienza
Le azioni eccezionali possono attraversare lunghi periodi di stagnazione o correzioni, ma chi ha fiducia nella loro crescita a lungo termine deve saper resistere alla tentazione di vendere. Fisher osservava che i più grandi guadagni arrivano dopo molti anni di detenzione, spesso grazie a fattori imprevisti che solo il tempo rivela: nuovi prodotti, acquisizioni, cambiamenti di settore.
Alla luce di tutto Questo, invitava a coltivare una mentalità da socio dell’impresa, non da speculatore. Vendere dovrebbe essere una decisione rara, ponderata e basata su fatti, non su emozioni. Chi vende solo perché il mercato è volatile o "per sicurezza" rinuncia alla vera magia dell’investimento di lungo periodo: la crescita composta.