Molti pensano che
Benjamin Graham fu l'unico mentore di
Warren Buffett, ma ci fu un altro grande economista che svolse un ruolo fondamentale per la formazione dell'oracolo di Omaha: si tratta di
Philip Fisher. Questi era sotto certi aspetti molto diverso da Graham, ma fu altrettanto importante per Buffett nella valutazione delle aziende prima di iniziare un investimento. Ripercorriamo quindi le tappe fondamentali della storia di Philip Fisher e vediamo quali sono stati gli aspetti principali del suo pensiero sugli investimenti.
Philip Fisher: formazione e carriera
Philip Arthur Fisher nacque l'8 settembre del 1907 a San Francisco. Dopo la laurea alla Graduate School of Business Administration di Stanford, fu assunto come analista alla Anglo London & Paris National Bank di San Francisco nel 1928. Il giovane intraprendente impiegò meno di due anni per ricevere la nomina di direttore del dipartimento di statistica dell'istituto di credito, in concomitanza con il grande crollo di Wall Street del 1929. Dopo una parentesi in una società di brokeraggio, nel 1931 Fisher avviò una propria attività di consulenza in un periodo particolarmente drammatico per l'economia USA.
Ciò che dava coraggio a Fisher era una duplice convinzione. In primo luogo che c'era una pletora di investitori insoddisfatti del proprio broker dopo il crollo. In secondo luogo che molti uomini d'affari messi in ginocchio dalla Grande Depressione avrebbero avuto più tempo da dedicargli. In quel periodo Fisher si persuase che fosse possibile realizzare utili superiori alla media investendo in società sottovalutate e gestite da manager capaci. Per questo sviluppò un sistema di valutazione basato sulla capacità dell'azienda di produrre vendite e utili crescenti nel corso degli anni a tassi superiori a quelli medi del settore. In tale contesto, Fisher ignorava completamente le performance di un anno, ma prendeva in considerazione un periodo lungo.
Philip Fisher: le aziende fortunate e capaci
Secondo Philip Fisher, esistono due tipologie di aziende che hanno una capacità di produrre utili superiori alla media: quelle fortunate e capaci; quelle fortunate perché capaci.
Della prima categoria faceva parte ad esempio ALCOA (Aluminum Company of America). Il colosso americano dell'alluminio era innanzitutto capace perché il management era esperto e abile. Infatti fu in grado di prevedere gli utilizzi commerciali dei propri prodotti e di capitalizzare le maggiori vendite nel mercato dell'alluminio. ALCOA fu fortunata perché si registrò un rapido sviluppo del mercato dell'aeronautica che generò un boom della domanda dell'alluminio.
Un esempio di azienda fortunata perché capace era la multinazionale statunitense della chimica DuPont, secondo Fisher. Inizialmente la società produceva polveri da sparo, ma se si fosse limitata a questo sarebbe stata un'azienda con normali performance. Le competenze messe a frutto dal management però le permisero di lanciare nuove produzioni, come quelle del nylon e del cellophane, inserendosi in nuovi mercati ma soprattutto generando miliardi di dollari di vendite.
Philip Fisher: l'importanza di generare utili
Realizzare vendite superiori alla media non era sufficiente per la società affinché venisse scelta come oggetto di investimento, secondo Fisher, se essa non era in grado di generare utili. L'economista quindi era alla ricerca di società che producessero a basso costo, ma anche che riuscissero a mantenere questa caratteristica nel tempo. A suo giudizio, un'azienda con un break-even basso sarà in grado di resistere a situazioni recessive e di rafforzare la propria quota di mercato. Nel tempo, nessuna società potrà mai mantenersi remunerativa in maniera stabile nel tempo se non riuscirà a limitare i costi di gestione e per farlo deve analizzare e comprendere ogni singolo costo del processo produttivo. A tal fine dovrà analizzare e controllare in maniera adeguata la contabilità per indirizzare le risorse verso prodotti e servizi con maggiore potenzialità.
Un altro aspetto che va a impattare sulla redditività, per Fisher, riguarda il finanziamento. Una società che è in grado di autofinanziarsi generando reddito attraverso il controllo dei costi fissi e delle spese correnti avrà maggiori chances di durata sul mercato. Viceversa, un'azienda che finanzia la crescita attraverso l'emissione di azioni annulla qualunque vantaggio che tale crescita può apportare agli azionisti, per il semplice fatto che la proprietà delle azioni verrebbe diluita.
Philip Fisher: il ruolo chiave del management
Uno dei punti del pensiero di Fisher che è stato assorbito totalmente da Warren Buffett fa riferimeno al ruolo cruciale che svolge il management all'interno dell'azienda. Secondo Fisher, una società non può prescindere da una dirigenza la cui affidabilità e integrità non sia in alcun modo in discussione. I manager devono essere in sostanza degli autentici fiduciari degli azionisti e non agire per il proprio tornaconto personale. Per questo motivo, quando si valuta un'azienda bisogna prestare attenzione a come il management comunica con gli azionisti, se è trasparente sia quando le cose vanno bene che quando vanno male. Inoltre, il management deve instaurare un buon rapporto con tutti i dipendenti, i quali rendono di più se l'ambiente in cui lavorano è soddisfacente e appagante sotto tutti i punti di vista.
Philip Fisher: il confronto tra aziende
Quando Fisher doveva valutare un'azienda non si limitava a leggere i rapporti periodici, ma effettuava un confronto con i concorrenti per capire in cosa quella società potesse essere superiore. A tal fine l'economista prendeva quante più informazioni possibili, benché ciò richiedesse un dispendio importante di tempo. Questo però alla fine veniva ripagato. Nelle sue analisi, Fisher parlava con clienti e venditori dell'azienda, ex-dipendenti e consulenti della stessa, ricercatori universitari, rappresentanti delle associazioni di categoria, dipendenti del governo e anche i concorrenti.
Un modo per ridurre il tempo impiegato per fare questo lavoro certosino era limitare drasticamente il numero di società di cui possedere le azioni. Meglio quindi investire in poche aziende di prestigio che in molte che rientravano nella media. I portafogli di investimento di Fisher erano costituiti da non più di 10 titoli, con 3 o 4 che rappresentavano il 75% del paniere.
Gli ultimi anni e le opere
Philip Fisher ha lavorato fino al 1999, quando all'età di 91 anni si è ritirato definitivamente. L'economista si è spento l'11 marzo 2004. Durante la sua vita professionale ha pubblicato quattro libri:
- Paths to Wealth through Common Stocks, Prentice-Hall, Inc., 1960;
- Common Stocks and Uncommon Profits, Harper & Brothers, 1960;
- Conservative Investors Sleep Well, Harper & Row, 1975
- Developing an Investment Philosophy (Monograph), The Financial Analysts Research Foundation, 1980.