Le quotazioni dell'uranio sono aumentate in maniera considerevole negli ultimi mesi, mentre la crisi energetica impazza e si rende sempre più necessario ricorrere e forme di energia come il nucleare che finora erano state accantonate. Oggi la materia prima ha superato i 50 dollari a libbra, piazzando un rialzo del 7% dalla metà di agosto. Per vedere questi prezzi bisogna fare un salto indietro alla scorsa primavera, quando lo scoppio della guerra Russia-Ucraina ha alimentato i timori di una forte riduzione dell'offerta delle risorse energetiche.
Ad aver beneficiato del rally dell'uranio sono ovviamente i grandi produttori mondiali come la
società canadese Cameco, le cui azioni sono aumentate di circa il 30% dalla metà del mese scorso. Il Vicepresidente senior della società, Grant Isaac, ha affermato che questo potrebbe essere il
più grande anno di contrattazione dal disastro di Fukushima per l'uranio, sulla prospettiva di azioni legislative che rilancino il nucleare.
Uranio: i motivi del rally
Prezzi così alti del combustibile nucleare, al di là dei picchi di questi mesi, sono stati vissuti circa un decennio fa, quando ancora era in corso la chiusura dei reattori nucleari in molti Paesi susseguente a quanto accaduto in Giappone. Adesso, sono diverse le motivazioni per cui l'uranio è risalito alla ribalta.
Innanzitutto, il peggioramento della crisi energetica in Europa ha fatto cambiare le prospettive di vari Paesi della Regione che avevano posto una chiusura ermetica alle risorse nucleari. La Germania ha deciso di rimettere in funzione i suoi impianti entro la fine dell'anno, se dovesse essere necessario con l'arrivo dell'inverno. E anche in Italia il dibattito si è fatto serrato sulla necessità di investire nei reattori di nuova generazione, sicuri e senza produrre emissioni di carbonio. All'inizio di quest'anno l'Unione Europea ha classificato il nucleare come energia verde al pari delle rinnovabili. Se Germania e Italia dovessero rompere gli indugi e utilizzare questa forma di energia come da tempo sta facendo la Francia, molte cose potrebbero cambiare, anche e soprattutto in relazione alle quotazioni dell'uranio.
Uscendo dalla sfera del Vecchio Continente,
la California ha preso iniziative importanti, decidendo all'inizio di settembre di allungare la vita alla sua ultima centrale rimasta operativa. Questo non è un aspetto da poco, essendo che un'area importante degli Stati Uniti era stata finora molto negativa sul nucleare. A questo si uniscono i
crediti d'imposta per i reattori esistenti negli USA previsti dall' Inflation Reduction Act, che con ogni probabilità estenderanno il periodo di durata delle centrali.
Il sentiment nei confronti dell'uranio però è migliorato decisamente quando alla fine di agosto il Giappone ha pianificato un'accelerazione del riavvio dei reattori nucleari e della costruzione di nuovi impianti per la prima volta dopo il 2011, quando scoppiò la catastrofe di Fukushima. La presa di posizione del Sol Levante è di importanza cruciale, proprio perché finora il Paese è stato l'epicentro dell'ostracismo nei confronti di questa forma di energia, con un popolo traumatizzato per anni da quel fatto triste. Anche la vicina Corea del Sud, sotto la nuova amministrazione di Yoon Suk-yeal, ha intenzione di puntare sul nucleare invece di ridimensionarlo come viceversa era nei piani del Paese prima del cambio di gestione.
Uranio: dove arriveranno i prezzi?
Dove potranno dirigersi ora le quotazioni dell'uranio? Gli analisti di Bank of America sono molto ottimisti e pensano che la materia prima potrà arrivare a 70 dollari nel 2023, il che implica un rialzo di circa il 40% dalle quotazioni attuali. Tuttavia, bisogna tener conto della grande volatilità che potrà investire il prezzo del combustibile nucleare. Secondo Berenberg, il problema proviene ancora una volta dalla Russia che, seppur rappresenti solo il 5% della produzione globale di uranio, risulta il più grande costruttore del mondo di nuove centrali nucleari ed è responsabile di circa il 40% della capacità di conversione e arricchimento per produrre un metallo efficace.
A giudizio della banca tedesca, le sanzioni alla Russia potrebbero interrompere la catena di forniture globali e quindi determinare una forte turbolenza nel mercato del combustibile. Askar Batyrbayev, Chief Commercial Officer di Kazatomprom, il più grande minatore di uranio del mondo, ha affermato che le strette occidentali sull'uranio russo rischiano di innescare grandi sconvolgimenti nel mercato della materia prima. Quindi, "se si intende sostituire interamente la fornitura da Mosca, sarebbero necessari altre 10 mila tonnellate di uranio da fornire", ovvero il 50% della produzione attuale dell'azienda con sede in Kazakistan.