Il trambusto generato dalla guerra dei dazi di questi giorni ha colpito anche il petrolio statunitense. Il West Texas Intermediate è crollato fino a 55 dollari prima di risalire a circa 61 dollari al barile nelle ultime ore. Gli investitori temono che continuando di questo passo l'economia americana entri in recessione, facendo crollare la domanda di greggio. Il petrolio è normalmente legato alle attività produttive. Quindi se l'economia va bene, cresce anche la richiesta di petrolio per alimentare i trasporti, l'energia nelle fabbriche, ecc.
C'è però un problema che in questo momento si presenta di fronte all'amministrazione USA:
l'inflazione. I dazi possono rimettere in moto la crescita dei prezzi e il WTI è uno dei canali più accreditati attraverso cui il carovita si diffonde nel Paese. Ed è per questo che
il governo USA fa il tifo affinché le quotazioni del petrolio scivolino verso i 50 dollari al barile, spingendo anche l'
OPEC+ ad aumentare l'offerta.
Petrolio: ecco i rischi per gli Stati Uniti di un crollo dei prezzi
Il punto è che un prezzo del greggio a quei livelli potrebbe essere un problema per gli Stati Uniti e per gli obiettivi del presidente Donald Trump raffigurati nello slogan da campagna elettorale "trill, baby, trill". Prima della rivoluzione dello scisto a partire dal 2005, una buona parte del deficit della bilancia commerciale americana era rappresentata dallo squilibrio tra importazioni ed esportazioni di petrolio. In altri termini, gli USA non erano autosufficienti e importavano greggio in grande quantità per soddisfare il fabbisogno nazionale. Lo scisto ha riequilibrato una situazione fornendo una soluzione di portata storica e gli americani sono diventati esportatori netti.
Tuttavia, il mercato può essere messo in subbuglio con un prezzo del WTI troppo basso, per il semplice fatto che i produttori di scisto trovano poco conveniente trivellare in presenza di margini molto più ristretti. Secondo la Federal Reserve Bank di Dallas, i produttori affermano che al di sotto dei 65 dollari al barile non hanno più convenienza a perforare. La soglia si è alzata notevolmente rispetto ai 49 dollari del 2020. Già a 60 dollari sarebbe un grosso problema; a 50 dollari ciò si tramuterebbe in una calamità finanziaria.
Il rischio a questo punto sarebbe un calo dell'offerta superiore a quello della domanda generato dalla recessione. Giocoforza, gli Stati Uniti si troverebbero costretti a ricorrere nuovamente alle importazioni di petrolio come 20 anni fa, prima dell'arrivo dello scisto. Con la conseguenza che la bilancia commerciale della materia prima tornerebbe in deficit vanificando in parte gli effetti degli sforzi tariffari.