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Le quotazioni basse del petrolio potrebbero rappresentare per l'Italia un'occasione ghiotta per fare incetta di scorte;
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Una maggiore sovranità energetica porterebbe dei vantaggi enormi a tutti i livelli;
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Il rebus dello stoccaggio sarebbe il principale rompicapo che i nostri governanti dovrebbere affrontare.
Il de profundis del petrolio desta molte preoccupazioni. Le quotazioni del WTI stanno spingendo le shail oil americane a un passo dal fallimento, i magazzini stanno per esplodere e i produttori sono disposti addirittura a pagare pur di liberarsi delle scorte in eccesso. Questo spiega il perché i contratti futures di maggio nella giornata di lunedì sono arrivati a perdere fino al 305% del loro valore sconfinando in territorio negativo. Oggi il prezzo spot della commodity è poco più di 8 dollari al barile e a questi prezzi qualche pazza idea potrebbe venire in mente a qualcuno nel nostro Paese.
Un progetto di Stato simile a quello di Enrico Mattei
La pazza idea origina da una domanda: e se l'Italia mettesse in piedi un grande progetto di Stato per accaparrarsi grandi quantità di petrolio, viste le condizioni di favore, e liberarsi dalle catene degli approvvigionamenti dei Paesi esportatori? Sarebbe un modo per mettersi in concorrenza con i giganti mondiali del greggio non ora, ma quando i prezzi dell'oro nero riprendono a salire, sfruttando la quantità di scorte accumulate. Un progetto del genere richiama alla memoria le gesta di mezzo secolo fa di un grande uomo di Stato, Enrico Mattei. Il fondatore dell'ENI all'epoca decise di sfidare le cosiddette Sette Sorelle del petrolio dapprima cercando di entrare nel Cartello attraverso l'Agip. In un secondo tempo, una volta che l'assalto venne respinto, riuscendo a spuntare delle condizioni di favore con l'allora prima compagnia petrolifera di tutto il Medio Oriente. Oggi, non ci sarebbe bisogno di stipulare contratti speciali e di combattere contro mostri invisibili, sarebbe sufficiente sfruttare le condizioni di mercato per mettersi in una condizione di vantaggio.
Quali potrebbero essere i vantaggi per l'Italia?
Il nostro Paese verosimilmente avrebbe parecchi benefici da un'operazione del genere, che possono essere così riassunti:
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Nonostante i consumi sono nel tempo diminuiti per via dello sviluppo dell'energia rinnovabile e dell'efficienza energetica, il nostro Paese è dipendente dall'import. Oggi produciamo 100 mila barili al giorno e ne consumiamo più di 1 milione, quindi il fabbisogno nazionale è soddisfatto per meno del 10% dalla produzione italiana. Più del 90% del petrolio viene importato. Inoltre, se dal picco degli anni 80 la produzione interna non è più aumentate è perché ci stanno delle ragioni impedenti. Ad esempio, alcune condizioni di natura ambientalistica rappresentano un ostacolo tutt'altro che rilevante per quanto riguarda lo sfruttamento di giacimenti petroliferi che abbiamo ma non utilizziamo. Si stima che la trivellazione dell'Adriatico sarebbe in grado di coprire il 47% della domanda di combustibile fossile nel nostro Paese. Eni si è vista congelare massicci investimenti in Basilicata e nell'Adriatico per l'intervento della magistratura su pressione del radicalismo ecologista. Spesso la holding di Stato è dovuta intervenire per rimuovere le cause che determinavano possibili danni ambientali attraverso manutenzioni e costruzioni;
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Quando tutto torna alla normalità, le intemperanze in Medio Oriente potrebbero rappresentare sempre una mina vagante per i prezzi del greggio e quindi per il costo delle nostre importazioni. Perché se è vero che noi non importiamo petrolio dall'Iran, lo facciamo da quei Paesi che sono coinvolti in una possibile guerra, ossia Arabia Saudita e Iraq. Ne abbiamo avuto prova pochi mesi fa quando l'Iran bloccò lo stretto di Hormuz, da cui passa il 20% di tutta la produzione mondiale di oro nero. Riuscire a staccarsi da questa possibile minaccia sarebbe come levare una spina nel fianco che avrebbe dei riflessi sicuramente positivi per il nostro equilibrio economico;
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Oggi l'inflazione non è un problema, ma in futuro potrebbe diventarlo, per via delle tensioni sul mercato. Questo sarebbe ancora più stringente se il rincaro dei prezzi fosse accompagnato da una crescita lieve o addirittura da recessione. Si verrebbe a creare il pericoloso fenomeno della stagflazione che ha già falcidiato la nostra economia negli anni bui degli shock petroliferi;
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Aziende di stato dipendenti dal carburante come Alitalia, sull'orlo del fallimento, trarrebbero enormi benefici in termini di costi potendo approvvigionarsi a condizioni particolarmente favorevoli. Ciò salvaguarderebbe l'esistenza di un'azienda senza doverla svendere a mani straniere, nonché migliaia di posti di lavoro.
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La risalita della domanda e quindi del prezzo del greggio creerebbe una plusvalenza sulle scorte in giacenza enorme, che migliorerebbe la bilancia commerciale e aumenterebbe il gettito dello Stato nel momento in cui il greggio lo si distribuisce per paradosso all'estero;
Il problema rimane quello dello stoccaggio. Dove si andrebbe a posizionare la quantità enorme di scorte? Ad oggi in Italia ci sono 15 concessioni per lo stoccaggio di gas naturale, è chiaro che dovrebbero essere trovati delle zone per contenere il petrolio. Quindi bisognerebbe anche effettuare un investimento in tal senso sulla ricerca nonché sulle spese proprie dello stoccaggio, almeno nel tempo in cui la domanda di combustibile rimane bassa per la crisi attuale e le scorte non si smaltiscono con maggiore difficoltà. Però il ritorno che si avrebbe in termini di costi/benefici è tutt'altro che trascurabile soprattutto perché risolverebbe almeno in parte l'annoso problema delle trivelle che spesso mette in contrapposizione le diverse forza politiche nelle scelte di governo.