Crollo storico del petrolio. Nello specifico di quello americano. Il Wti statunitense ha iniziato a scendere senza freni giungendo a superare i -37 dollari al barile (sul contratto con consegna a maggio). Diversa la situazione dei contratti di giugno che tendono a orbitare poco sotto i 21 dollari. Ed anche in questo caso la forbice tra i due contratti è estrema. Intanto il Brent, per quanto in calo, riesce ancora a difendersi intorno ai 25 dollari al barile.
Cosa ha creato il crollo?
In realtà è da specificare che il settore petrolifero tutto è da tempo al centro della classica tempesta perfetta. Ma il crollo di queste ore ha interessato per lo più il Wti. Per quale motivo? Per rispondere bisogna capire cosa sta succedendo. Con ordine. Come è noto l’epidemia da coronavirus ha creato un blocco generalizzato della produzione, parallelamente ad un blocco altrettanto generalizzato della domanda. Si tratta di un primo elemento che si va a sommare agli altri, creando un mix praticamente mortale per i produttori statunitensi.
Siti di stoccaggio al limite
Infatti gli altri fattori che hanno creato lo storico risultato negativo sono da ricercarsi anche nella produzione estremamente abbondante di materia prima. Tanto che i siti di stoccaggio stanno raggiungendo nuovamente i limiti massimi di capienza. Il che potrebbe abbassare ancora i prezzi visto che i produttori sarebbero addirittura disposti ad avanzare soldi a chi compra per liberare i siti. Una situazione paradossale se si pensa che da qualche settimana l’Opec+ ha ufficializzato i tagli di quasi 10 milioni di barili alla produzione. Tagli che non solo arriveranno solo a maggio ma che sono frutto di aspre trattative. Tutto ciò non ha fatto altro che delineare le tensioni interne alla stessa Opec+.
Il caso del Wti
Ma perché solo il Wti è stato coinvolto da questo crollo? In questo caso il fattore determinante da analizzare per capire cosa sta succedendo sulle quotazioni sono gli Etf. Un esempio è quello che sta accadendo con l’US Oil Fund le cui dimensioni, sempre più grandi, lo hanno portato a controllare un quarto delle posizioni sul Wti. Cosa significa questo? Che ogni suo movimento, per quanto normale, risulta essere un’onda d’urto per il mercato del petrolio Usa. Ancora di più se i gestori, per modifiche alle strategie di portafoglio, hanno cambiato alcune scelte di investimento. In altre parole se prima se prima si investiva solo nella prima scadenza dei futures, adesso ci si è spostati, con una parte del portafoglio, al mese successivo. Ma il problema non è solo finanziario, bensì sociale. Infatti alla base di tutto ci sono piccoli risparmiatori che hanno pensato di cavalcare l’onda della rivoluzione dello shale oil puntando i risparmi di intere famiglie sull’Etf.