Le università americane sono famose non solo per le costose rette richieste ai loro studenti per accedere alle lezioni degli accademici più preparati e celebri a livello mondiale, ma anche per gestire il denaro che incassano con tecniche di investimento evolute e spesso copiate dagli advisors. Una delle allocazione di portafoglio più celebri si chiama Ivy Portfolio.
Ivy Portfolio è descritto da Meb Faber in un libro che prende appunto il nome dal portafoglio e nel quale vengono dettagliate le strategie di investimento di due celebri Università americane, Yale e Harvard.
Ho già trattato questa tipologia di portafoglio in questo articolo ( Portafogli investimento: Ivy portfolio, brio con tanta volatilità) e come sempre, prima di procedere all’analisi degli ultimi 10 anni con un back test che mette a confronto l’Ivy con un bilanciato tradizionale, può essere opportuno riepilogare qual è l’asset allocation originale. Eccola:
- 20% Azionario America;
- 20% Azionario Internazionale ex - USA;
- 20% Treasury Medio termine;
- 20% Commodities;
- 20% REIT.
Naturalmente la versione proposta da Faber è tarata sugli investimenti di un investitore americano, ma noi abbiamo la possibilità di renderla più adatta a un europeo con ETF quotati nel Vecchio Continente.
Ivy Portfolio, il confronto con il bilanciato
Il confronto che andremo a fare nel back test sarà fatto con un 75% azioni 25% obbligazioni per “mediare” il 40% di alternativi (REITs e commodity) distribuendo una parte di questi sull’azionario (la più consistente) e un residuo sull’obbligazionario. Andiamo quindi a verificare cosa è successo negli ultimi 10 anni a Ivy Portfolio.
Sempre alla data del 31.12.2022, il confronto di Ivy Portfolio con il 75/25 composto da azionario e obbligazionario globale a cambio coperto mette nell’angolo il portafoglio delle università americane.
100 mila euro investiti 10 anni prima sono raddoppiati per il 75/25, mentre sono diventati 180 mila per Ivy. Una differenza di rendimento di 1,2% all’anno a favore del 75/25 al prezzo di una volatilità più elevata di poco meno di 1 punto percentuale (10,6% il 75/25 contro il 9,7% dell’Ivy).
Tendenzialmente l’Ivy mostra però una tendenza ad essere più penalizzato nelle fasi acute di drawdown come quella del 2020, mentre nel 2022 ha fatto meglio di un paio di punti percentuali rispetto al 75/25. Nella statistica infatti i due portafogli hanno praticamente la stessa percentuale di massima perdita in un anno.
Il portafoglio Ivy può essere agevolmente replicato da un investitore italiano con 4 ETF. Un azionario internazionale, uno che investe in commodities, uno in Reits globali ed infine l’ultimo in un tranquillo obbligazionario europeo a media scadenza.
Il backtest non sembra però supportare l’idea di un vantaggio competitivo rispetto ad un bilanciato molto tradizionale e questo nonostante un ambiente favorevole alle commodities visto lo scenario di alta inflazione attuale. In realtà i REITs hanno frenato compensando in negativo il vantaggio delle commodities e creando le premesse per una miglior performance del 75/25.
Un portafoglio probabilmente troppo esposto a due asset class molto volatili come materie prime e immobiliare, ma semplice nella sua proposizione e manutenzione. Considerando i difetti di efficienza dei prodotti gestiti legati alle materie prime non la ritengo una delle allocation migliori per investire. E i dati lo hanno dimostrato.