Nel mondo del risparmio gestito continuano ad essere emessi ETF completamente nuovi ESG e a gestione attiva. Secondo Bloomberg, nel 2020 e nei primi sei mesi del 2021, negli Stati Uniti sono stati lanciati 57 ETF che soddisfano i criteri ESG.
Un bel numero considerando che nei due anni precedenti erano stati solo 40. Anche Janus Henderson è entrato recentemente in questo mondo con il lancio di 5 strumenti gestiti attivamente. Azionario americano, internazionale, risorse naturali e due ETF sul reddito fisso permettono all'emittente di posizionarsi in un’arena piuttosto affollata.
ETF ESG: costi elevati per gli investitori
Sfruttando la sigla ESG sugli ETF, gli investitori pensano di acquistare strumenti a replica passiva a buon mercato. Peccato che gli stessi sono gestiti attivamente con la cosiddetta high conviction (ovvero 30-60 azioni) e costi compresi tra 0,35% e 0,60% all’anno. Ovviamente tutto un altro mondo rispetto a strumenti passivi con costi inferiori a 0,10%.
Il fenomeno degli ETF gestiti attivamente è in forte crescita in America ed evidenzia l’incapacità della maggior parte degli investitori di investire nel lungo periodo con strumenti privi di discrezionalità. Il fascino dell’attivo è pronto ad attrarre capitali. Le emissioni ESG stanno combinando in pieno la richiesta di fondi “sostenibili” a quella di fondi a gestione attiva ma incapsulati dentro una struttura di ETF.
I nuovi ETF ESG emessi in America nel 2020-2021 sono gestiti attivamente nel 40% dei casi. Una bella crescita rispetto all'8% di due anni prima. L’ETF di Hartford costa anch’esso parecchio (0,39%) se confrontato con ETF tradizionali su indici americani, ma avrà meno della metà della carbon footprint del suo benchmark, l’indice Russell 100.
ETF a gestione attiva: un fenomeno tutt'altro che estinto
Chi pensava che la gestione attiva fosse destinata all’estinzione si è sbagliato. Negli Stati Uniti, i due terzi degli asset degli advisor intervistati da PGIM Investments continua ad andare su fondi a gestione attiva operativi, soprattutto sui mercati azionari internazionali ed emergenti oltre che dei bond high yield e emergenti. Comparti dove teoricamente i gestori dovrebbero trarre vantaggio dalle inefficienze.
Settori dove però il report SPIVA individua sottoperformance rispetto al benchmark nell’ordine del 80% dei fondi a distanza di 10 anni. Il trend di graduale riduzione dei costi sembra incoraggiare un ritorno verso lo stile attivo. Sarà la decade della rivincita per i gestori?