Gli ETF hanno la peculiarità di essere dei fondi di investimento scambiati come azioni. Questi strumenti uniscono al vantaggio di investire in panieri di titoli escludendo il rischio emittente tipico delle singole azioni (il patrimonio dello strumento è separato da quello del fondo). Altri due vantaggi sono la quotazione in Borsa e la semplice compravendita. Quella che però in apparenza sembra una situazione ottimale per l’investitore, non sempre si rivela tale. Il motivo ha molto a che fare con quello che accade tipicamente per i titoli azionari.
ETF: la problematica dello spread bid-ask
Quando ci interfacciamo con le large cap, i volumi sono elevati quindi è molto semplice trovare qualche altro investitore disposto a mettere in campo un’operazione di segno contrario alla nostra e con una differenza di prezzo (il cosiddetto spread bid-ask) molto ristretta.
Siccome gli ETF sono sempre più numerosi e per uno stesso indice se ne possono trovare decine, la competizione sugli scambi è diventata intensa. Così per diversi strumenti di nicchia accade quello che vediamo ogni giorno per le cosiddette azioni sottili, ovvero una rarefazione dei volumi che rende più onerosa del previsto la compravendita.
Ma la stessa situazione la possiamo incontrare quando scegliamo un ETF molto economico che investe in un indice di Borsa particolarmente famoso, ad esempio l'S&P 500, ma con una capitalizzazione modesta. Infatti anche in questo caso l’elevata probabilità che uno scarso numero di attori partecipino alle compravendite può determinare un differenziale ampio e più oneroso del previsto.
Ecco perché molto spesso capitalizzazione dell’ETF e spread bid-ask vanno a braccetto tra i criteri di scelta che l’investitore può adottare per selezionare il miglior strumento. Spesso sottovalutato, questo rappresenta un onere non indifferente soprattutto per chi fa trading con questi prodotti.
Se ad esempio vogliamo acquistare un ETF e ci troviamo di fronte un book con il prezzo di acquisto a 49,50 euro ed un prezzo in vendita a 50,50 euro potremmo essere portati a pensare che il prezzo corretto è 50 euro. Peccato che se vogliamo ad esempio vendere immediatamente le nostre quote quella quotazione non la riusciremo a spuntare, quindi dovremo accontentarci di un prezzo di 49,50 euro.
Si tratta di quasi il 2% in meno rispetto al nostro prezzo ideale e dell'1% in meno rispetto al prezzo intermedio che consideriamo equo. Questo è il costo reale di uno spread bid-ask così ampio e che naturalmente può essere traslato in un minor ricavo.
Qui ci troviamo di fronte a quella che è anche una delle principali differenze rispetto al fondo di investimento, che viene venduto e acquistato allo stesso NAV pur mancando della flessibilità di poterlo scambiare in qualsiasi momento della giornata.
Spesso, ma non sempre, l’ampia capitalizzazione dello strumento è garanzia di basso differenziale tra denaro e lettera. Un elemento che perciò è necessario sempre monitorare da parte del trader o investitore sono i volumi di scambio giornalieri.
ETF: la problematica dei volumi
Se i volumi risultano molto bassi, difficilmente avremo uno strumento in grado di costare poco in termini di spread denaro-lettera. Infatti potrebbe presentarsi il caso di uno spread tra chi compra e chi vende di pochi centesimi di euro ma con pochi pezzi messi sul mercato. Riprendendo l’esempio di prima potremmo avere un book popolato da un bid a 49,90 euro ed un ask a 50,10 euro ma con 5 quote in acquisto e 8 in vendita.
Se ci trovassimo dal lato di chi deve vendere e le nostre quote fossero 50 è evidente che vendute ad un buon prezzo di 49,90 euro, le prime 5 dovremmo scalarle al livello inferiore per capire a quale prezzo medio liquideremo le quote residue. Se nel secondo livello del book troviamo un’offerta di acquisto a 49,50 euro capiamo immediatamente che l’onere finale dello spread rimarne molto elevato per il venditore.