Tra le asset class alternative che compaiono anche nel celebre Global Market Portfolio, ovvero quella composizione di classi di investimento i cui pesi dipendono dalle capitalizzazioni di mercato, c’è anche il Private Equity.
Al pari di oro e reits, il Private Equity si pone come prodotto in teoria decorrelante rispetto alle sorti del mercato azionario. In pratica, escludendo i fondi ad accesso chiuso agli investitori al dettaglio, gli attuali ETF di Private Equity contengono prevalentemente grandi società quotate in Borsa e che svolgono questa attività come core business.
Comprando l’ETF si comprano grandi fondi e solo indirettamente un portafoglio di aziende sulle quali scommettono gli specialisti del settore per sfruttarne la redditività e il prezzo interessante prima di valorizzarle e poi successivamente piazzarle sul mercato per ottenere un profitto.
Per Private Equity si intende quell’attività di compravendita esercitata da grandi fondi internazionali con l’obiettivo di investire soprattutto (ma non solo) in società innovative dall’alto potenziale non quotate in Borsa per valorizzarle e successivamente guadagnare una plusvalenza sulla rivendita sul mercato.
Rendimenti attesi naturalmente più elevati per questa forma di investimento, ma anche rischi potenzialmente maggiori proprio perché queste società solitamente non hanno la solidità finanziarie delle Big Cap.
Come investire nel Private Equity con gli ETF
Come detto all’inizio è possibile investire proprio in quei fondi che fanno del Private Equity la loro attività principale. Gli ETF quotati con masse amministrate sopra i 500 milioni di euro presenti in Europa sono due. iShares Listed Private Equity e Xtrackers LPX Private Equity Swap.
Nell’ultimo anno l’investimento si è rivelato un po' meno profittevole dell’indice S&P500, ma ha fatto meglio rispetto all’azionario globale con una performance di poco superiore al 30%. Un ritorno maturato soprattutto negli ultimi 12 mesi visto che la performance a 3 anni è identica a quella dell’azionario mondiale.
I due ETF esistono sul mercato dal 2007 e questo ci permette anche di fare un confronto storico.
Dal 2007 i due ETF hanno raccolto un rendimento annuo composto compreso tra 9,8% e 10,2%, inferiore rispetto al 13% annuo accumulato dall’azionario americano, ma in linea con quello globale. La volatilità è stata però più elevata confermando la forte similitudine tra questa tipologia di investimento e l’azionario nonostante il differente “oggetto sociale”.
La ripartizione geografica di questi strumenti è più equilibrata geograficamente rispetto ad altri indici con gli USA al 46% di peso seguiti da UK al 13%. Blackstone, Brookfield e Parnters Group tra le prime società di un paniere di titoli quantificabile in poco più di 80 unità, ma con le prime 10 società che rappresentano la metà del portafoglio.
Un’asset class che indubbiamente ha saputo tenere il passo del mercato azionario e può ambire ad avere qualche punto percentuale di allocazione in un portafoglio diversificato. La capacità decorrelante non sembra però essere una delle sue qualità principali, almeno osservando il comportamento storico degli ETF che replicano questo tema di investimento.